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La lunga marcia che possa ridare fiato e voce alle tante anime e alle variegate soggettività presenti nel nostro Paese, sia del mondo dell’associazionismo che della politica, che oggi costituiscono quel grande arcipelago che non va votare o che che partecipa col “naso turato”, si arricchisce di una nuova perla; di un nuovo, originale ed autorevole contributo: la Lectio Magistralis del Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin.

La straordinaria Lectio ruota attorno all’interrogativo: che ruolo possono svolgere i cattolici, i cristianamente ispirati, i credenti e non per fornire un contributo alle inquietudini della società di oggi, per uscire dallo smarrimento e dell’incertezza in cui si trovano gli uomini e le donne del nostro tempo.
Quale contributo e quali piste di lavoro mettere in campo perché l’intero Occidente possa uscire dal cortocircuito in cui è caduto: dove il rapporto tra fede e ragione si è sfilacciato; dove alla religione, ai contenuti di fede e alle testimonianze religiose è stato sottratto il loro potenziale rigenerativo nella vita di tutti i giorni; dove ai diritti non sono stati affiancati i paralleli e altrettanto importanti doveri; dove l’esercizio della libertà non è stato accompagnato dalla tensione del sentirci parte di una comunità fatta di altri uomini e donne che debbono pure loro godere della stessa libertà; dove lo sviluppo e la felicità sappiano interessare pienamente anche chi si trova in difficoltà o un passo indietro.
È un interrogativo che ci porta obbligatoriamente alla sfera del “pensiero”, al ruolo della cultura, alle parole chiave che dovrebbero presiedere alla convivenza civile.
Prima ancora di cimentarci sul terreno della politica occorre fare un’opera di chiarificazione a monte. Perché la cultura, i suoi assunti e le sue elaborazioni, ce lo ha insegnato il beato Rosmini, stanno sopra, vengono prima dei comportamenti e dei programmi di governo.
E da questo punto di vista la Lectio Magistralis fornisce un contributo illuminante.
Se questa impostazione la trasferiamo sul piano più propriamente politico, della politica italiana e in particolare del come dar corpo ad un nuovo protagonismo dell’area centrista, occorre convenire che accanto alle tante conferme c’è pure bisogno di ribadire alcuni punti fermi e in qualche caso anche di correggere e meglio definire le cose da fare.
Se si vuole ritornare ad essere protagonisti e punto di riferimento nella modernità occorre essere consapevoli che non ci sono scorciatoie o semplificazioni, ma che davanti a noi c’è una montagna da scalare.
Ciò che ci aspetta non è una semplice operazione di potere, o un semplice e protettivo caminetto, o anche testimonianze che confondono la profezia con l’ostentare di essere minoranza,  ma la condivisione di un progetto che contempli le risposte che si danno sul terreno dell’economia, dell’ambiente, della socialità e delle istituzioni. E dentro il quale sia soprattutto prevista la riscoperta del ruolo virtuoso della religione, il riattivare nella nostra vita i canali di comunicazione con il soprannaturale e riportare il dialogo con Dio nella nostra quotidianità. E quindi approdare ad una visione antropologia aggiornata.
A cammino avviato, e solo allora, si porrà il tema: se è maturo il tempo di dar vita a un nuovo partito.
Oggi gli obiettivi di coloro che vogliono animare questa area devono essere focalizzati su una serie di forti parole chiave, quali: unitari! Dialoganti! Paritari! Popolari! Europei! Costruttori di ponti che portino alla pace e alla sicurezza delle persone. E in prima linea sull’emergenza ambientale.
Ci soffermiamo solo su alcune, perché le consideriamo preliminari al tema che stiamo approfondendo:
Unitari: se da qualche anno è abbastanza generalizzata la consapevolezza della necessità/dovere di impegnarsi in politica, non altrettanto è la convinzione di procedere uniti. In qualche caso la si accetta ma poi, di fatto, la si rende impraticabile perché la si mette dopo il posizionamento, dopo la propria appartenenza passata o dopo il proprio vissuto.
L’unità non va vista come un vincolo o un dogma, ma come una opportunità, una linea di azione ed una bussola che ti orienta.
L’unità va vista come la precondizione se d’avvero si vuole superare il “nanismo” delle esperienze politiche centriste e la frammentazione (che ci ha consegnato alla irrilevanza!) delle espressioni fatte di associazioni,  movimenti e testimonianze, cristianamente ispirate.
Dialoganti: perché comunicando, condividendo e progettando assieme si da corpo e respiro al vivere comunitario. Stare assieme, condividere, fare squadra ti da più forza nel costruire. Ti rende comunità e soprattutto ti riporta ad essere più percepito. E sappiamo quanto oggi, nella società della comunicazione, questo serva.
Paritari: essere consapevoli che ciascun partecipante è figlio del proprio percorso; che ogni esperienza, proprio perché si è sviluppata,  ha una sua specificità ed una sua originalità. E quindi va rispettata, armonizzata e portata a sintesi. Praticare ed essere inclusivi comporta di abbattere le barriere che impediscono percorsi di condivisione, di rispetto delle diversità e di accettazione della pluralità delle esperienze praticate in questi decenni. E qui ci possono essere di aiuto le ragioni della pazienza e della tolleranza.
Popolari: popolo e persona sono termini correlativi. Complementari. L’uno contempla l’altro. Non esiste popolo senza persone. E persone che non stiano dentro una comunità umana. In questo assunto trova fondamento il popolarismo politico. Una opzione simmetrica al principio di sussidiarietà. Il protagonismo dell’uno legittima ed esalta il protagonismo dell’altro  e, assieme, costituiscono l’ossatura della convivenza democratica anche internazionale.
Sono piste di lavoro che ti portano non a riscrivere la Dottrina sociale cristiana, non a praticare l’intrasigentismo etico che spesso deborda in moralismo, ma essere consapevoli che essere minoranza può essere scintilla di rigenerazione; che essere aperti alla ricerca ti porta ad avere un respiro sovranazionale; che lavorare nella civitas terrena vuol dire misurarsi con gli attori in campo, con le testimonianze materiali esistenti, con i politici che ci sono oggi. Non avendo timore di andare in mare aperto ma disponibili a costruire scenari nuovi ed inediti.
Da questo punto di vista il recente contributo ed il lavoro del gruppo “ditelo SUI TETTI” è rilevante e meritorio. Come pure lo sono le altre iniziative più politiche, messe in campo in questi anni: sia nel mondo dell’associazionismo (Costruire Insieme,  Politica Insieme, Solidarietà, Insieme, etc.) sia nelle istituzioni (le iniziative di Renzi, Calenda, Mario Adinolfi, la federazione Democristiana, Demos, Toti, Quagliariello e Brugnaro etc.)
Partendo da questo spazio enorme da riaggregare, da queste straordinarie esperienze, senza disperderle, è senz’altro necessario un nuovo slancio e anche il coraggio di correggere ciò che va aggiustato.

La lectio di Parolin, un faro nelle nebbie della modernità

Gli obiettivi di coloro che vogliono animare l’area centrista devono essere focalizzati su una serie di forti parole chiave: unitari, dialoganti, paritari, popolari, europei, costruttori di ponti che portino alla pace e alla sicurezza delle persone. E in prima linea sull’emergenza ambientale. L’intervento di Ivo Tarolli, già parlamentare e fondatore di Insieme

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