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Negli scorsi giorni il Cremlino ha dato il via a una nuova stretta autoritaria sulla sfera digitale. Con la legge fatta passare dalla Duma il 4 marzo, Vladimir Putin ha criminalizzato la diffusione di “false informazioni” (leggi: contenuti non allineati con la propaganda di Stato). E dopo aver bloccato la maggior parte delle emittenti straniere e indipendenti, Mosca ha iniziato a innalzare un firewall, sulla falsariga di quello cinese, per assicurarsi il controllo sull’infosfera.

Di conseguenza sono state bloccate Facebook, Instagram, Twitter e YouTube, ma anche la cinese TikTok (per decisione autonoma) e l’app di walkie-talkie Zello. Tutte potenzialmente ree di non agire secondo i dettami della censura. L’altro lato della medaglia: ora le piattaforme che continuano a operare nel Paese – come VKontakte, Yandex e Telegram – possono essere considerate propaggini dell’attività liberticida delle autorità russe.

L’altro fronte, quello ucraino, è soggetto da anni alla infowar di Mosca. Ma Putin sa che per riuscire nel suo intento deve controllare la rete. Dunque è ragionevole aspettarsi che voglia estendere il firewall anche sull’Ucraina, in caso di conquista, o almeno ostacolare la diffusione della libera informazione nel frattempo. Lunedì un funzionario del Ministero della Difesa britannico ha detto che la Russia sta prendendo di mira l’infrastruttura di comunicazione ucraina per ridurre l’accesso a fonti di notizie affidabili.

Ma c’è anche un vettore di segno opposto, persone e comunità che stanno lavorando per assicurarsi che gli ucraini possano conservare il libero accesso alla rete. Come Elon Musk, che sta mettendo a disposizione del Paese il suo servizio di internet satellitare. C’è anche chi sta continuando a sviluppare sistemi di comunicazione in grado di aggirare un firewall censorio, con la speranza che possano essere adottati dove la libertà d’informazione è sempre più soffocata, come la stessa Russia.

Questa è la ratio dietro ai servizi di messaggistica decentralizzata, strumenti che stanno guadagnando sempre più attenzione. L’idea è la stessa che anima il cosiddetto web3, le criptovalute e la finanza decentralizzata: distribuire l’architettura dei servizi sui molteplici “nodi” di una rete, cosicché il fallimento di un nodo non comprometta il sistema, e basare tutte le operazioni sulla crittografia end-to-end. Nessun singolo punto di strozzatura, nessuna possibilità che un singolo attore possa controllare o distruggere il servizio.

Matthew Hodgson, il fondatore di una rete decentralizzata di nome Matrix, crede che presto la Russia bloccherà la maggior parte dei sistemi di comunicazione incontrollabili. I sistemi di messaggistica decentralizzata potrebbero essere tutto ciò che resta, ha detto a Protocol. Dunque sta collaborando con una non profit canadese per impostare dei server in Ucraina e garantire agli utenti quello che lui chiama “capacità di comunicazione auto-sovrana”.

Il progetto sta prendendo piede: nelle ultime due settimane un’app di messaggistica basata su Matrix –  si chiama Element – è uscita dagli anfratti degli app store ucraini per diventare una delle 10 più scaricate. Intanto il team di Hodgson studia aggiornamenti che consentano agli utenti di aggirare la mancanza di connessione internet sfruttando una rete di dispositivi connessi tramite Bluetooth. Non è un sistema ideale, specie in termini di velocità e tempi di caricamento, ma può cambiare l’esistenza a chi ha bisogno di rimanere online e lontano dalle grinfie di un regime.

I messaggi decentralizzati del Web3 contro la censura russa

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