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Tutti i media, presi dal Pnrr, dalla riforma (eventuale) delle regole europee per la vigilanza sulla finanza pubblica, della revisione o meno della normativa degli aiuti di Stato, di un eventuale coordinamento in materia di immigrazione e di sanità, hanno dimenticato che ci sono due dossier importanti (per l’Italia) e coperti – pare – da una spessa coltre di silenzio.

Il primo è caldo, anzi caldissimo e ci tocca da vicino. Il secondo è freddo, rischia di restare nel congelatore a lungo e minare i programmi per la transizione ecologica e digitale non solo ma anche per gli altri dell’Unione europea.

Andiamo con ordine. Il piatto caldissimo riguarda la politica agricola comune e, alla faccia del Trattato Quirinale che dovrebbe sancire un’amicizia fraterna ed imperitura tra Parigi e Roma, danneggia l’agroalimentare italiano. Tuttavia da Rue de Varenne (sede del ministero dell’Agricoltura francese) e dal Quai d’Orsay (sede di quello degli Esteri) – non si sa se con il conforto o meno dell’Eliseo, assorbito in campagna elettorale e in sfoggi di “grandeur” a livello internazionale, è partita la fregatura (scusate il termine) nei confronti dell’agro-alimentare nostrano.

Il tema è tecnico: come indicare le quantità di grassi e le qualità nutritive dei prodotti agricoli. La proposta iniziale della Commissione europea era semplice: mettere, in caratteri leggibili sull’etichetta dati che ora sono relegati (in caratteri illeggibili) nel retro dell’incartamento del prodotto. Levata di scudi di Francia e Olanda. Le etichette avrebbero dimostrato che i prodotti agroalimentari francesi e olandesi sono pieni i grassi (d’altronde la Francia ha uno dei tassi di obesità – 24% della popolazione adulta – più alti in Europa).

La Commissione europea ha deciso di abbandonare il metodo ed è stato proposto un sistema di fasce colorate (Nutriscore): ciascuna esprime (con il colore) il valore nutritivo e i grassi. Con tale metodo la dieta mediterranea e quindi l’Italia e la Spagna risultano i Paesi con l’agro-alimentare meno nutriente e più grasso. Si potrebbe non dare troppa importanza a questo tema: sappiamo ad esempio che mangiamo formaggio non più di un pasto al giorno (in effetti molto meno) mentre i francesi lo mangiano due volte al giorno e condiscono tutto con il burro e con lo strutto. La fascia colorata, però, potrebbe avere effetti (negativi) sull’export. Quindi, è bene che l’Italia si faccia sentire. È’ sceso in campo in supporto dell’Italia, il settimanale The Economist (fascicolo del 12-18 febbraio).

L’altro nodo è essenzialmente politico. L’Unione bancaria europea è stata varata nel 2014, ma è monca in quanto, a quasi dieci anni di distanza dalla sua creazione, manca ancora il terzo pilastro (l’assicurazione europea sui depositi) ed anche i primi due devono essere rifiniti. L’Unione bancaria, poi, era stata concepita come parte di un’Unione europea dei capitali di cui non si è ancora posta neanche la prima pietra. Senza un mercato europeo dei capitali integrato e senza intermediari finanziari europei tali da gareggiare, per dimensioni ed efficienza, con quelli americani, asiatici ed oceanici come si può pensare di raccogliere le enormi risorse per finanziare la transizione ecologica e digitale e, contemporaneamente, ammodernare il parco infrastrutturale europeo?

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