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90mila navi all’anno, in grado di movimentare un terzo delle merci che vengono scambiate nel mondo. Sono i numeri dello stretto di Malacca dove un eventuale blocco cinese, sommato alle conseguenze finanziarie e commerciali già in atto dopo l’invasione russa dell’Ucraina, potrebbe sconvolgere il quadro commerciale mondiale. L’allargamento verso il fronte meridionale da parte cinese rappresenta un allarme rosso non solo per l’Australia, ma per la rotta più breve dall’Oceano Indiano al Pacifico.

Rotta Australia

La crisi in Ucraina, con l’appendice legata alle sanzioni e alle materie prime, sta facendo riconsiderare rotte e investimenti su larga scala. Non solo gas e petrolio ma anche altri prodotti grano, mais, frumento passando per cavi, cablaggi che occorrono ad una serie di paesi per andare incontro al fabbisogno di imprese e cittadini. La chiusura dello spazio aereo russo, assieme al “fronte” ideale e valoriale che esiste tra Pechino e Mosca, ha dei riverberi sull’altro grande player atlantico che rappresenta un crocevia per traffici e relazioni: l’Australia.

Mire cinesi

Non soltanto ricca di materie prime, l’Australia può diventare il possibile punto caldo di nuove tensioni internazionali per via della sua peculiare posizione. Ha nella Cina il principale partner commerciale, ha il 90% della popolazione che vive nella parte meridionale della sua grandissima isola, ha l’intero fronte settentrionale “affacciato” su un mare ampio in cui la Cina prova ad estendere la propria sovranità territoriale costruendo isole dal nulla praticamente in mezzo al mare. Con lo stesso timbro espansionistico con cui Pechino affronta il caso Taiwan e con cui di fatto la Russia ha messo nel mirino Crimea, Donbass e ora Ucraina, la Cina potrebbe spingersi fino a quegli stretti a nord dell’Australia e, ipoteticamente, chiudere (per controllare) quelle rotte commerciali. La tempesta perfetta in un frangente in cui gli sconvolgimenti geopolitici sono già ai massimi livelli tra Kiev, Mosca e il testo del mondo.

Aukus

La solidità della partnership sino-russa potrebbe essere fatale anche per Taiwan, in questo senso è indicativo il paracadute aperto dall’accordo Aukus, ovvero il patto trilaterale dello scorso settembre tra Australia, Usa e Regno Unito. La concentrazione delle truppe russe in Bielorussia segue oggettivamente la traccia improntata da Pechino sia su Taiwan che nelle isolette tra Cina e Australia. Nessuno si aspetta nel brevissimo periodo un’invasione da parte cinese, ma è un fatto che la strategia d’insieme combaci, al momento. L’Australia è il principale donatore verso le isole pacifiche, ma la Cina si sta progressivamente inserendo in queste dinamiche con lo stesso piglio che ha usato in occasione della crisi pandemica tramite la vax-diplomacy ad esempio nei paesi del costone balcanico o in Africa.

Accesso e blocco

L’influenza cinese si traduce a quelle latitudini in un accesso vero e proprio, o paradossalmente in un blocco di attività altrui. Si pensi al risiko in atto nelle Isole Salomone, dove gli Usa non avevano una rappresentanza consolare aperta dal 1993 e dove a breve riapriranno l’ambasciata a Honiara, con l’obiettivo di riguadagnare terreno rispetto alla Cina. O si pensi a quella rotta così strategica per le relazioni tra Oceano Indiano e Oceano Pacifico: la rete elettrica, le catene di approvvigionamento, il rifornimento di acqua hanno in Malacca un segmento decisivo che ha effetti concreti sul commercio mondiale, oltre che sull’Australia in sé.

È stata la stessa Ue in un recente documento a certificare che, secondo la strategia europea per la cooperazione nell’Indo-Pacifico, l’Oceano Indiano è “una porta d’ingresso per l’Europa nell’Indo-Pacifico, il principale passaggio per l’Europa da e verso i mercati indo-pacifici”. Tradotto, più sicurezza marittima nella regione, più fluidità negli scambi commerciali e meno rischi di un blocco di rotte che determinerebbe un ulteriore sconvolgimento degli equilibri mondiali.

@FDepalo

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