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Una nave da intelligence russa ha navigato lungo le acque contigue all’isola di Okinotori (la più meridionale dell’arcipelago nipponico), mercoledì 7 luglio. Durante la notte di martedì, altre tre navi russe (il cacciatorpediniere “Marshal Shaposhnikov”, la corvetta “Gremyashchiy” e la nave da supporto “Pechanca”) hanno invece navigato verso sud dallo stretto di Tsushima, che si trova tra l’isola principale occidentale di Kyushu e la penisola coreana, fino al Mar Cinese Orientale.

Due giorni prima, lunedì 4 luglio, la corvetta Gremyashchiy è entrata nella zona contigua alle acque delle Senkaku, isolotti disabitati amministrati dal Giappone. Ha navigato per circa un’ora tra gli scogli di Kuba e Taisho: una quarantina di minuti prima le forze di autodifesa giapponese avevano segnalato la presenza di un’imbarcazione militare cinese – la fregata “Jiangwei II”.

Pechino rivendica quelle acque, chiama le Senkaku “Isole Diaoyu”, mescolando storia e geografia (distano 1900 chilometri dell’arcipelago nipponico e meno di un terzo da Shanghai). Questa contesa è uno degli elementi di maggiore attrito con Tokyo. Tutto si svolge nel Mar Cinese Orientale – uno dei quadranti caldi dell’Indo Pacifico.

Non è la prima volta che russi e cinesi inviano imbarcazioni militari all’interno della fascia sensibile marittima giapponese. Nelle scorse settimane avevano effettuato uno show of force circondando tutto l’arcipelago nipponico (il Shaposhnikov e la Gremyashchiy erano parte di quello schieramento navale). Anche in passato era successo qualcosa di simile.

Ciò che preoccupa in questo momento è la frequenza con cui questo sta avvenendo, spiegano fonti diplomatiche giapponesi, che aggiungono: dai dati della Guardia Costiera, navi del governo cinese sono rimaste nella zona attorno alle Senkaku per 81 giorni di fila.

Secondo il diritto internazionale, le “acque contigue” sono una zona appunto contigua al mare territoriale di uno Stato costiero, “che non può estendersi oltre le 24 miglia nautiche dalle linee di base da cui si misura la larghezza del mare territoriale”. Il diritto internazionale consente alle navi di qualsiasi nazione, comprese quelle da guerra, di navigare nelle acque contigue di una nazione costiera, a meno che non minaccino la sicurezza della nazione stessa. Gli Stati Uniti rivendicano lo stesso diritto quando le loro navi attraversano le isole Paracel, controllate (e militarizzate) dalla Cina nel Mar Cinese Meridionale.

Tokyo dice che quanto è successo è “molto preoccupante”. “Le isole Senkaku sono parte integrante del territorio giapponese, storicamente e secondo il diritto internazionale. Il governo affronterà la questione con calma ma con fermezza per proteggere la terra, le acque territoriali e lo spazio aereo del Giappone”, commenta il gabinetto del primo ministro Kishida Fumio.

“Le attività delle navi cinesi nelle acque contigue sono legittime e giustificate”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri cinese durante una normale conferenza stampa: “Il Giappone non ha il diritto di fare commenti così irresponsabili”.

Tokyo, che ha recentemente aumentato la qualità delle attività pubbliche pro-occidentali (e anche anti-cinesi e anti-russe), è particolarmente sensibile a ciò che accade in quelle acque contese. Tra queste attività in partnership con l’Occidente c’è stata la partecipazione di Kishida al vertice Nato di Madrid. In quell’occasione, il capo dell’esecutivo di giapponese ha esposto le sue preoccupazioni agli alleati.

L’incontro spagnolo tra i Capi di Stato e di governo Nato è stato caratterizzato dal rinnovamento dello Strategic Concept, documento programmatico che delinea le visioni future del blocco.

Le “ambizioni e le politiche coercitive della Cina sfidano i nostri interessi, la nostra sicurezza e i nostri valori”, scrive la Nato nel testo uscito la scorsa settimana. E ancora: “La Cina impiega un’ampia gamma di strumenti politici, economici e militari per aumentare la sua impronta globale e proiettare potenza, pur rimanendo poco trasparente sulla sua strategia, le sue intenzioni e il suo sviluppo militare”.

Il documento ha anche richiamato l’attenzione sulla “crescente partnership strategica” tra Pechino e Mosca, e “i loro tentativi, che si rafforzano a vicenda, di minare l’ordine internazionale basato sulle regole sono contrari ai nostri valori e interessi”.

L’incursione russo-cinese di lunedì è più che particolare. Il punto è questo: quelle imbarcazioni militari erano state inviate da Mosca e Pechino per un’attività congiunta, e dunque la Russia vuole sottolineare – in questo particolare momento – l’interesse nell’appoggiare la rivendicazione cinese? I presupposti ci sarebbero.

La Russia ha da un po’ di tempo alzato il livello di ingaggio contro il Giappone: in ballo c’è la contesa sulle isole Curili, e più recentemente la posizione – molto pro-occidentale, anche sulle sanzioni – presa da Tokyo riguardo all’invasione russa dell’Ucraina. Uno degli eventi di sfogo è stato il provvedimento con cui il Cremlino ha tagliato fuori le compagnie nipponiche e statunitensi dal grande progetto gasifero delle Sakhalin.

Vale anche la pena aggiungere che nell’ambito degli affari internazionali, Mosca sta subendo un graduale processo di isolamento da parte dei Paesi leader del mondo economico-commerciale globale. Questa situazione chiama la Russia – le cui casse non brillano alla necessità di agganciarsi ulteriormente alla Cina. Con il rischio, sempre sostenuto dai pensatori del Cremlino, di finirne fagocitata. Tuttavia, l’appoggio in queste attività (in cui anche Mosca ha un interesse) potrebbe essere anche conseguenza di questa allineamento con la Cina, che più che un presupposto è una necessità.

Tuttavia la Difesa russa ha fornito una spiegazione riguardo alla teorica visita congiunta alle Senkaku: c’è stata una causa di forza maggiore dietro ai movimenti delle due imbarcazioni. Per evitare una tempesta innescata dal tifone “Aere”, sia la nave russa che quella cinese sono state costrette a deviare dalla rotta prefissata e a “rifugiarsi” nelle acque delle Senkaku. Tokyo ha preso in considerazione questa eventualità e scelto una linea severe ma controllata.

Il Giappone ha dichiarato di nutrire un “vivo interesse” – nel linguaggio diplomatico di Tokyo equivale a dire che c’è un’attenzione altissima – per le recenti manovre russe intorno alle isole; tuttavia non si è arrivati a una protesta diplomatica formale, perché, spiega il ministero degli Esteri nipponico, è possibile la ragione collegata al tifone.

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