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Il parlamento monocamerale libico (HoR) presieduto da Agila Saleh ha scelto Fathi Bashagha come nuovo primo ministro di un governo che avrà il compito di traghettare il Paese in una stabilizzazione ampia che porti alle elezioni — da fissare nel giro di poco più di 14 mesi.

Il nuovo esecutivo di transizione si è reso necessario dopo la scadenza del mandato affidato, lo scorso anno, al businessman misuratino Abdelhamid Dabaiba dal Foro di dialogo politico libico onusiano. Il suo incarico era portare il paese al voto (parlamentare e presidenziale) fissato per il 24 dicembre 2021.

Le votazioni sono saltate, rinviate di un mese e poi annullate per essere riconvocate a data da destinarsi: da quel momento il parlamento ha sollevato il dubbio sulla legittimità di Dabaiba per continuare il percorso di stabilizzazione. Molte critiche le aveva già attirate la sua decisione di competere alla corsa elettorale per la presidenza aggirando alcuni regolamentazioni che glielo impedivano.

Dabaiba non aveva più la fiducia della Camera dei Rappresentanti, e dunque Saleh (che aveva anche lui avanzato la propria candidatura alle presidenziali, ma autosospendendosi dal ruolo che ricopre con l’anticipo richiesto dalle regole interne) ha portato il parlamento al voto.

La scelta ricaduta su Fathi Bashagha segna una fase di accomodamenti interni tra Tripolitania e Cirenaica. Poche settimane fa c’era stata una riunione a Bengasi in cui avevano partecipato l’ex vice presidente Ahmed Maiteeg e il capo miliziano Khalifa Haftar per trovare un accordo di forma unitaria e procedere in questo senso. Haftar, che da otto anni combatte con le armi il governo di Tripoli, aveva accettato già di partecipare alle presidenziali secondo le regole (mai rese definitive in realtà) dell’HoR.

La votazione unanime su Bashaga esce anche da questo allineamento, con Maiteeg che da tempo lavora per ricomporre con l’Est e per mantenere unità Misurata (molto probabile che il politico misuratini verrà nominato agli Esteri o all’Economia nel futuro esecutivo). Uno dei ruoli del nuovo governo sarà anche quello di scrivere una legge elettorale chiara e definitiva in modo da rendere fluido non solo il processo elettorale, ma anche la successiva accettazione dei risultati. Di questo hanno parlato a Roma ambasciatori e direttori politici dei ministeri degli Esteri del gruppo di Paesi P3+2 (Francia, Regno Unito e Stati Uniti, più Germania e Italia).

L’incontro romano si è svolto martedì 8 febbraio ed era stato pensato per rimanere riservato, ma poi i media qatarioti ne hanno parlato. Erano presenti anche rappresentanti di Emirati Arabi Uniti, Qatar, Turchia e Russia, e insieme a loro c’era la consigliere speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per la Libia, Stephanie Williams — che lunedì ha avuto un bilaterale con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Roma (che incassa un successo diplomatico) ha voluto mettere al tavolo tutti i principali attori che ruotano attorno alla crisi libica — e che durante l’ultimo assalto a Tripoli di Haftar hanno partecipato attivamente (assente solo l’Egitto).  La ragione è chiara: superato lo stallo politico attorno a Dabaiba, ora il nuovo premier deve godere di una congiunzione astrale tra le potenze esterne che hanno un potente peso sul dossier.

L’Italia — come l’Onu, l’Ue e gli Usa — vuole evitare che si riproducano situazioni critiche, che riemergano tensioni e divisioni. I rischi ci sono: Dabaiba ritiene la votazione dell’HoR illegittima e per quanto noto non ha alcuna intenzione di dimettersi. E dunque esistono potenzialità per una nuova spaccatura in due governi paralleli: il primo guidato dal premier uscente con sede a Tripoli; il secondo formato dal nuovo primo ministro Fathi Bashagha.

Una riproposizione di uno schema già visto in Libia nell’ultimo decennio; schema che ha prodotto conflitti. La tensione interna è molto alta — nella notte Dabaiba sarebbe sfuggito a un attentato, qualcuno ha sparato contro la sua auto — e per questo tutti gli attori internazionali sono chiamati ad allinearsi. In passato hanno sempre prevalso gli interessi diretti che ognuno di questi player ha sulla Libia, componente vulnerabile (e dunque più facilmente utilizzabile) del quadro mediterraneo. Dall’esterno sono arrivate spinte divisiva interne.

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