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Il direttore del Mossad, David Barnea, e il primo ministro libico, Abdelhamid Dabaiba, si sarebbero recentemente incontrati in Giordania. Il Mossad è molto più dell’agenzia di intelligence che cura le questioni estere: per Gerusalemme è un’arma politica, e infatti i due avrebbero discusso la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Libia e la cooperazione in materia di sicurezza. L’ufficio del premier libico ha smentito, silenzio dallo stato ebraico (che di solito non commenta certe vicende).

L’ottica allungata dietro a questi movimenti è quella degli Accordi di Abramo, con cui Israele (attraverso la catalizzazione statunitense) sta costruendo relazioni diplomatiche con diversi stati arabi. Da questo fronte sono gli Emirati Arabi Uniti a guidare le dinamiche, e Abu Dhabi è un Paese che ha influenza sul lato orientale della Libia e già nel 2019/2020 aveva provato in passato a costruire da lì un ponte verso Israele.

Era un modo per cercare di allargare — in forma proxy — la lista di Paesi che dava sostegno al capo miliziano della Cirenaica, Khalifa Haftar, che Abu Dhabi (con l’Egitto, la Giordania e in forma più sfumata l’Arabia Saudita) sosteneva nella sua campagna militare contro il governo onusiano di Tripoli, usando la crisi come sfogo per il confronto contro il blocco islamista del sunnismo rappresentato da Turchia e Qatar.

A novembre del 2021, era stato invece Saddam Haftar, figlio del signore della guerra della Cirenaica, a volare all’aeroporto Ben Gurion per incontri con funzionari israeliani (con ogni probabilità del dipartimento Tevel del Mossad) a cui aveva offerto la promessa di una normalizzazione se il padre avesse vinto le elezioni: in cambio chiedeva ovviamente sostegno alle presidenziali.

Il voto è saltato, rinviato al 24 gennaio nonostante da mesi l’Onu invocasse elezioni, fissate da tempo per il 24 dicembre. Val la pena fare una previsione per il contesto: è molto possibile che le elezioni salteranno di nuovo. Ma intanto Dabaiba potrebbe aver deciso di muoversi per accaparrarsi sostegno internazionale. Tecnicamente il primo ministro è decaduto proprio il 24 dicembre (secondo le regole dettate dal Foro di dialogo libico onusiano attraverso cui ha ricevuto l’incarico), e ora è molto possibile che il Parlamento sarà chiamato ad accordare la fiducia a un nuovo esecutivo — frutto di intese est-ovest già in discussione.

Non è chiaro quanto Dabaiba e tanto mento Haftar figlio possano sostanzialmente portare avanti la normalizzazione con Israele, dato il caos in cui il Paese si trova da anni. Stando ai fatti nessuno è legittimato a portare avanti certi dialoghi, ma tutti cercano di costruirsi una posizione per poter incassare consenso. Israele ne è consapevole, accetta un confronto perché percepisce la necessità di conoscere, pur senza coinvolgimento, l’evolversi della situazione in Libia — tornata di nuovo critica dopo oltre un anno di pace apparente.

Libia, anche Dabaiba cerca Israele

Il primo ministro libico potrebbe aver incontrato il capo dell’intelligence israeliana per cercare di costruirsi appoggio e consenso internazionale. L’offerta di normalizzazione dei rapporti è già stata usata da Haftar per ottenere sostegno

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