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L’Africa può sopperire alle mancanze di gas prodotte dallo sganciamento dalla dipendenza russa, come racconta la volontà di approfondire le connessioni pensata dall’Italia per tagliare la fornitura di Mosca — diventata un partner commerciale politicamente non potabile dopo la sanguinosa invasione dell’Ucraina. Ma questo apre alla necessità di rivedere il quadro delle relazioni in ottica strategica e al miglioramento delle questioni logistiche e infrastrutturali.

E non solo in Africa. Secondo Luciano Pollichieni, Africa Desk alla Fondazione Med Or di Leonardo, l’Italia ha un problema di rigassificatori perché quantitativamente processano poco gnl (gas naturale liquefatto, il modo con cui il gas viene trasportato più agilmente attraverso le navi e non via gasdotti).

“Inoltre — aggiunge Pollichieni — questi impianti andrebbero posti a nel sud dell’Italia, in quanto in quel modo accorcerebbero le rotte marittime”. Accorciare il viaggio significa diminuire i costi economici e quelli ecologici del traporto (il processo di produzione e consumo del Gnl è inquinante), e dunque del prodotto in generale. “Un punto fondamentale per l’Italia, perché i rigassificatori al sud della Penisola farebbero riacquisire al Meridione una centralità geopolitica che nel tempo ha perso”.

Oltre al nodo tecnico, che non è secondario visto l’innescarsi già di processi nimby, non sottovalutabili nella realizzazione di questo progetto di differenziazione degli approvvigionamenti energetici, c’è quello politico. Siamo davanti al cambiamento di punti di riferimento, o forse meglio alla deviazione di punti di proiezione. “Ci andremmo a muovere lontano dalle classiche aree d’influenza dell’Italia, ossia oltre al Nordafrica con cui abbiamo ampi rapporti, perché adesso parliamo di Africa subsahariana come nel caso del Mozambico, dell’Angola o del Congo-Brazzaville”, aggiunge Pollichieni.

Per lo studioso di Med Or, il punto sta nel come porci: ora questi Paesi hanno smesso di essere oggetto di iniziative politiche, ma sono soggetti, spiega. “Quando ti siedi al tavolo, loro hanno determinate aspettative che vorrebbero vedere soddisfatte anche nello sviluppo di quelle partnership energetiche, e per questo chiedono di essere ascoltati seriamente”.

Il prossimo sarà il secolo africano: le economie cresceranno (grazie alle risorse e agli investimenti che seguiranno), la demografia è forte, le collaborazioni intavolate. Lo sganciamento dalla dipendenza russa si porta dietro l’apertura della grande opportunità di approfondire le relazioni con l’Africa.

Nel continente sono in corso processi complessi come quelli che coinvolgono le evoluzioni economiche e sociali, chiamando a risposte politiche. Prendere per esempio il caso della Tanzania, a sud del Corno d’Africa, che aveva una moneta con peso economico risibile ma ora grazie al gas ha scalato gli indici monetari africani: questo ha innescato dinamiche di crescita per il Paese. “Siamo davanti a un cambiamento del mercato del gas, ma anche a un ispessimento della dimensione politica globale dei Paesi africani”, aggiunge Pollichieni.

Il fattore energetico è spesso legato al tempo, e il fatto che l’Italia si sia seduta al tavolo con questi Paesi, con questa velocità, è un punto di forza. Un elemento di vantaggio è anche la possibilità del governo di muoversi con l’Eni, che dà idea a agli interlocutori della serietà dell’approccio di Roma (la più importante azienda internazionale italiana che accompagna il governo contratti alla mano). “Anche perché — ricorda Pollichieni — Eni ha delle specificità culturali che hanno un valore molto positivo”. L’azienda di San Donato Milanese è presente in questi contesti da molti anni e ha sempre ha abbinato le attività business la collaborazione con i governi locali.

Ora c’è da riorientare la geopolitica, che porterà l’Italia a essere più vicina all’Africa. Un territorio in cui è in atto lo scontro tra modelli, democrazie contro autoritarismi, frutto delle volontà di penetrazione strategica di attori come Russia e Cina.

Tuttavia, anche se esistano casi eclatanti — sebbene con specificità, come quello dell’accordo tra Mali e Wagner — gli ultimi dati di Afrobaromiter, una società demoscopica che registra gli andamenti delle collettività africane, dicono che per gli intervistati in più di 39 stati il modello occidentale è comunque considerato come riferimento davanti alle proposte di Cina e Russia.

”Quando la Russia ha invaso la Crimea, davanti alle sanzioni, Mosca ha guardato all’Africa come spazio per mantenere attivo il proprio business. Noi facciamo lo stesso adesso per la crisi energetica. Noi però abbiamo la possibilità di vincere come modello esattamente come vincemmo contro l’Unione sovietica, con cambi di rotta politici e sociali che comprendano le istanze degli stati africani, quelli delle collettività contro quella élite focused di Mosca e Pechino. Nella sostanza torna la questione oggetto/soggetto di cui si parlava”, spiega Pollichieni.

Che aggiunge: “L’instabilità politica sta in parte, e faticosamente, rientrando: ci sono iniziative di negoziazione, sono in corso nazionalizzazioni e ricomposizioni dei conflitti. Questo non interessa la Russia, che guadagna dal caos, ma qui sta la forza dell’Occidente di farsi spazio in certe distensioni, assisterle, favorirle”.

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La necessità di rompere la dipendenza energetica dalla Russia apre una grande opportunità per l’Italia: approfondire le connessioni con l’Africa. Una deviazione non  solo commerciale ma anche geopolitica, come spiega Luciano Pollichieni, Africa Desk alla Fondazione Med Or

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