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La crescita di Giorgia Meloni, forse, preoccupa più gli altri partner del centrodestra che le opposizioni. Soprattutto perché, dalle sue parole, emerge sempre più lampante la volontà di rappresentare – in maniera autonoma – i conservatori italiani. Sulla scorta peraltro di quello che avviene già a livello europeo (Meloni guida l’Ecr). In casa Lega si respira aria pesante, nonostante i due leader sbandierino unità. Mai come in questa fase, in cui a breve si dovrà decidere il nome da candidare alla presidenza della Repubblica, le schiere devono essere compatte. Ce la farà il centrodestra a non disunirsi nel momento topico? Di questo e altro abbiamo parlato con Alessandro Campi, politologo e  docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia.

Salvini ha ottenuto l’ok da tutti i segretari di partito per il tavolo nel quale discutere del Quirinale. Che ne pensa?

Il metodo sembra quello giusto: tutti riuniti intorno ad un tavolo per cercare una soluzione largamente condivisa. Di alto profilo, come suole dirsi. Dicendo questo subito si pensa a Draghi anche se in realtà ci sono altri nomi che rispondono a queste caratteristiche. Il problema è quanto i partiti siano davvero capaci di muoversi secondo questo schema, per così dire, unanimistico. All’invito di Salvini tutti hanno oggi risposto positivamente, ma fino all’altro giorno – vedi lo scambio di amorosi sensi tra Enrico Letta e Giorgia Meloni alla festa romana di Atreju – tutti si sono mossi proprio con l’idea di isolare e depotenziare Salvini.

Secondo lei con quali proposte si presenteranno gli schieramenti?

La mia impressione è che ogni forza politica abbia dei nomi su cui puntare che però vengono tenuti giustamente nascosti, per non bruciarli. Anche quelli che apertamente puntano su Draghi, stanno in realtà pensando ad altri nomi. I draghiani in senso proprio sono fuori dai partiti, dunque non votano. Dal punto di vista politico, se escludiamo Draghi al Quirinale sin dal primo turno (se così non fosse la sua sarebbe una candidatura immediatamente finita), il gioco è in realtà molto semplice. Il Pd cercherà di far eleggere qualcuno che provenga dalle sue fila (Gentiloni, Sassoli, Rosy Bindi, tanto per fare dei nomi) . Il centrodestra, avendo numeri in Parlamento che non ha mai avuto, proverà a sua volta a far eleggere qualcuno che sia espressione più o meno organica di quell’alleanza (Casellati, Pera, Letizia Moratti, Gianni Letta, sempre per stare al gioco dei nomi) o che ad essa non sia apertamente ostile (tipo Casini). Soluzioni in senso lato tecniche o neutrali – tipo la Cartabia – potrebbero concretizzarsi solo in presenza di un perdurante stallo.

Si riuscirà a trovare l’accordo nel centrodestra su Berlusconi?

Formalmente, nessuno nel centrodestra può dire “no” a Berlusconi, anche se credo si tratti di una candidatura di bandiera, peraltro a dir poco irrituale visto che non stiamo parlando di elezioni politiche, ma della scelta del capo dello Stato: la campagna acquisiti che lui stesso e i suoi uomini stanno facendo tra le fila dei grillini è qualcosa che non si era mai visto. Berlusconi è acciaccato e anziano. È un leader di partito (e mai una simile figura è ascesa al Colle). Ha alle sue spalle una storia troppo controversa per poter aspirare al ruolo di garante dell’unità nazionale. Senza considerare che il Colle non è una carica che possa esser utilizzata come premio alla carriera. Cerchiamo di essere realisti: Berlusconi al Quirinale creerebbe divisioni all’interno del Paese e non pochi imbarazzi nelle cancellerie straniere (senza contare quel che scriverebbe, con sadico divertimento, la stampa di mezzo mondo, per la quale il Cavaliere resta – ahinoi e mal per lui – l’uomo del “bunga bunga”). Se accordo c’è nel centrodestra sul suo nome, è solo di facciata e per quieto vivere momentaneo.

A proposito di centrodestra. Dalle parti della Lega serpeggia un po’ di preoccupazione per la presa di posizione di Meloni sulla volontà di rappresentare i conservatori, oltre che a livello europeo, anche a livello nazionale. È un modo per prendere le distanze dalla coalizione e sancire una leadership de facto?

Gli elettori d’orientamento in senso lato conservatore sono una componente organica del centrodestra. Perché volerli esplicitamente rappresentare dovrebbe significare una presa di distanze dalla coalizione? Meloni, secondo me, ha fatto un’operazione mediaticamente molto efficace, anche se i contenuti politici di tale operazione sono ancora tutti da costruire: si è liberata dalle etichette di populista e sovranista (usate a sinistra come sinonimo di fascismo) e ha scelto per sé quella di conservatore. Mai farsi definire dai propri avversari-nemici.

C’è il rischio che questa linea possa rompere i ranghi del centrodestra a pochi giorni dalla partita decisiva del Quirinale?

A mio giudizio né Salvini né Meloni vogliono Berlusconi al Quirinale. Se il Cavaliere dovesse insistere con la sua richiesta, sarà facile mandargli un chiaro segnale nel segreto dell’urna. Prodi insegna. Ciò detto, il centrodestra ha tutto l’interesse a mantenersi unito in vista del vero obiettivo politico che dovrebbe provare a conseguire: eleggere finalmente un Capo dello Stato che sia espressione, per una volta, dell’Italia cosiddetta moderata.

Letta e Conte si sentono costantemente, ma dalle parti del Pd c’è chi mugugna. Il dubbio è che Conte riesca in effetti a compattare le fila di un Movimento sempre più sfilacciato. Lei come la vede?

Per Conte la sfida del Quirinale è l’occasione per cercare di ricompattare un partito a rischio continuo d’implosione. Ma per fare questo non può limitarsi a sostenere i nomi proposti dagli altri. In questo momento Conte e il M5S sono gli unici a non aver, come dire, un proprio candidato in senso lato ideale. È ovviamente un segno di debolezza politica.

Che ruolo avranno i centristi, Italia Viva e Azione nella partita quirinalizia?

Ogni gruzzolo di voti potrà essere importante, specie in caso di votazioni oltre la quarta. Ma difficilmente la proposta di un nome potrà venire da una di queste formazioni. Il Renzi di oggi, che lotta per la sua sopravvivenza politica, difficilmente può aspirare al ruolo di king maker come sette anni fa, quando s’inventò il nome di Mattarella facendo saltare l’accordo già sottoscritto con Berlusconi sul nome di Giuliano Amato. Per inciso, quel voltafaccia fu l’inizio del suo lento declino. Da allora, perso progressivamente ogni respiro politico-progettuale, si è specializzato nelle trame parlamentari. Anche stavolta si muoverà allo stesso modo, da abile giocatore, cercando di far fruttare al massimo quel poco che gli è rimasto in mano a livello di truppe parlamentari.

I piani di Berlusconi e i supporter di Draghi. La panoramica di Campi

Il politologo, dopo le frasi di Meloni e i malumori del centrodestra: “La coalizione ha tutto l’interesse a mantenersi unita in vista del vero obiettivo politico che dovrebbe provare a conseguire: eleggere finalmente un Capo dello Stato che sia espressione, per una volta, dell’Italia cosiddetta moderata”. E su Renzi…

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