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Il capo del Consiglio di Sicurezza nazionale statunitense, Jake Sullivan, ha sfruttato gli spazi che i talk show domenicali negli Stati Uniti offrono per interviste e approfondimenti e messo in allerta il mondo sulla possibilità che ormai ogni giorno è buono per l’invasione russa dell’Ucraina e che questa potrebbe avere un “altissimo costo umano”. Parole che fanno eco con le rivelazioni fatte uscire sui giornali: le forze che Vladimir Putin ha mandato al confine ucraino sono pronte al 70 per cento, dicono le intelligence Usa — che valutano la presenza di 83 battaglioni per un totale di 110mila uomini, più mezzi e navi sul Mar Nero. Washington lancia l’allarme: ai giornalisti viene fatto sapere che il segretario di Stato, il capo del Pentagono e quello dello Stato maggiore congiunto, hanno aggiornato per ore i congressisti insieme alla direttrice della Cia — briefing che sembra essere stato usato per preparare i legislatori al peggio.

Ma a Kiev il clima è diverso. Fonti consultate da Formiche.net raccontano di una quasi indifferenza tra i cittadini e di un apparente sangue freddo da parte delle autorità, probabilmente frutto di un rapporto diverso con il rischio e di una necessità del governo di minimizzare per non seminare il panico. Il ministro degli Esteri twitta “non credete a scenari apocalittici” — gli americani hanno avvertito sul potenziale rischio di almeno 50mila morti se l’invasione dovesse concretizzarsi — e il presidente Volodymyr Zelensky ha detto domenica che ancora la soluzione diplomatica è molto più possibile di un attacco. La presidenza ucraina non può cedere in questa guerra di nervi, si mostra in controllo — anche perché questa è considerata la linea per non perdere il contatto con la popolazione, mentre il consenso scende. Zelensky però potrebbe essere la vittima di un’azione più controllata da parte della Russia.

Se l’opzione militare viene bollata dal Cremlino come “follia” (parole del vice ambasciatore russo all’Onu), Mosca ha varie carte in mano per destabilizzare Kiev a proprio vantaggio — e da lì intavolare un percorso diplomatico che includa i risultati di quella destabilizzazione. Per esempio, sostenere indirettamente un colpo di stato filo-russo, oppure — sempre sull’onda etnonazionalista putiniana — aiutare la separazione definitiva delle province indipendentiste, magari generando un pretesto tramite un evento false flag. Piani denunciati anche sui giornali, perché farlo — secondo gli americani — è un modo per cercare di anticiparli e fermarli. E lascia tempi e spazi alla diplomazia. “L’obiettivo geopolitico della Russia oggi non è l’Ucraina, ma chiarire le regole di coabitazione con la Nato e l’Unione europea”, ha detto il presidente francese Emmanuel Macron al Journal du Dimanche.

L’intervista domenicale ha anticipato il perimetro (diplomatico e più rassicurante) della visita del capo dell’Eliseo a Mosca (oggi, lunedì 7 febbraio) e a Kiev (domani). Il francese rivendica un ruolo ampio, si descrive come rappresentante dell’Unione europea e dunque della Nato (dato che ha maggiore possibilità di spostamento di un presidente americano): sulla base di questo tratta. E lo fa consapevole di un rapporto buono con Putin (Parigi è una porta sull’Occidente per la Russia) e dell’opportunità di rivendere un successo diplomatico della trattativa (quasi certo) sul piano politico interno (ossia nella competizione presidenziale in corso) e nel processo di assestamento intra-europeo post-Merkel. Su questo, la visita francese si incrocia col viaggio a Washington del neo-cancelliere Olaf Scholz, accolto dalle parole secche di Sullivan: se Putin attacca il Nord Stream 2 “in un modo o nell’altro” il gasdotto ”non andrà avanti”. La pipeline che raddoppia il flusso di gas russo da nord (tagliando il peso geostrategico dell’Ucraina, e dunque rendendola meno nevralgica per Mosca, quindi più attaccabile) è considerata uno degli elementi che spacca l’Europa sulla Russia.

Se Berlino sarebbe restia a una linea dura per interesse diretto, Parigi lo è per opportunità, mentre l’est europeo vuole invece il pugno duro promesso dagli americani — che hanno giurato sanzioni storiche, dall’esclusione dal sistema bancario Swift a misure dirette contro Putin, ma non parlano di reazione militare e si limitano per ora al rafforzamento dei Paesi Nato prossimi alla Russia inviando poche migliaia di soldati come supporto psicologico. Questo giro di pensieri dalle capitali, dinamiche, evoluzioni sarà raccontato in Parlamento dai ministri italiani di Esteri, Luigi Di Maio, e Difesa, Lorenzo Guerini, che martedì 8 febbraio alle 13 riferiranno nelle Commissioni congiunte sulla situazione. Pure Roma può avere un ruolo da protagonista in questa scomoda crisi, considerando anche il rapporto (e forse l’influenza) che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha su Putin.

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