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Nei giorni scorsi molti hanno riempito colonne di commenti per deprecare il Trattato del Quirinale tra Italia e Francia, senza averne letto i contenuti, lamentando che con questo patto il nostro Paese si sarebbe svenduto ai cugini d’oltralpe. Finalmente il testo è stato reso pubblico e tutti questi timori si sono ovviamente dissolti, di fronte a formulazioni il cui equilibrio è stato curato in modo quasi maniacale, con un rigoroso rispetto del più ampio quadro degli impegni assunti nell’Unione Europea.

Un testo quindi in cui vengono riaffermati, o sovente affermati esplicitamente per la prima volta, impegni reciproci e impegni comuni che fanno intravvedere chiaramente la volontà di far convergere i rispettivi interessi nazionali anche in settori in cui nel passato si erano palesate posizioni conflittuali. È comunque una formulazione di intenzioni apprezzabili, che però dovranno concretizzarsi nel futuro in fatti concreti.
La novità, e non è cosa da poco, è la definizione di strumenti di coordinamento, formalmente costituiti, deputati ad analizzare le situazioni che si presenteranno nei vari ambiti che coprono ogni attività di governo, con una reciproca trasparenza cui nel passato non eravamo abituati e che di per sé può essere utile a disinnescare in nuce possibili divergenze e conflittualità. In positivo poi, si tratta delle sedi ove far maturare nuovi progetti atti a favorire l’integrazione e la convergenza tra le società dei due paesi.

Volendo tuttavia approfondire nel concreto, non si possono tuttavia trascurare i rischi che derivano dalla diversa strutturazione delle strutture decisionali e di governo dei due Paesi, strutturazione che è il riflesso della storia e dell’atteggiamento culturale di fondo di ciascuno: la selezione e la formazione degli alti funzionari francesi sono il risultato di un’antica tradizione e sono alla radice dell’efficienza della macchina burocratica d’oltralpe, mentre quella italiana soffre da sempre di debolezze intrinseche. Tutto ciò ha dei palesi riflessi nei risultati che si possono ottenere sedendo ai tavoli di negoziazione internazionali. È capitato anche a chi scrive di partecipare a riunioni dove si dibattevano temi delicati senza avere precise direttive e di prendere posizioni anche di rilievo dovendosi basare solo sulla preparazione e sull’intuito personale.

Sicuramente i tempi sono cambiati, ma non ci sono dubbi che l’efficacia dei meccanismi di consultazione e coordinamento previsti dal trattato al fine di valorizzare gli interessi del Paese in un’ottica di comune vantaggio dipenderà anche, ma non solo, dall’efficienza della catena decisionale nazionale e dalla capacità della compagine governativa di operare in modo sinergico. Ciò detto sul piano bilaterale, è da sottolineare la chiarezza e la forza del linguaggio usato sul quadro multilaterale e in particolare per quanto attiene al rapporto con la Nato. Considerata la storia dei rapporti di Parigi con l’Alleanza Atlantica, a partire dal ritiro dall’organizzazione militare nel 1966, e considerate le recenti dichiarazioni dello stesso Macron, la riaffermazione della centralità della Nato e dell’importanza di un sano e mutualmente giovevole rapporto tra l’Unione Europea e l’Alleanza Atlantica costituisce un elemento di ottimismo, anche ai fini di un’intesa sul significato da dare al concetto di “autonomia strategica” dell’Ue.

Chi più dovrebbe riflettere sul significato politico profondo di questo trattato sono i vertici dell’UE e quelli degli altri membri dell’Unione, poiché il documento è implicitamente un impietoso atto di accusa: le cose che Italia e Francia si propongono di attuare e conseguire sono esattamente i rimedi alle carenze e alle insufficienze dell’Ue, che appare – certo per la negativa volontà politica dei suoi membri – poco ambiziosa e troppo timida a fronte delle pressanti esigenze evidenziate dalle multiformi crisi che stiamo vivendo.

Proprio per questi motivi appare incoraggiante la reazione tedesca con le parole di Martin Schulz, esponente di spicco della Spd e compagno di partito del prossimo cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ha auspicato una rapida estensione a tre dell’intesa tra Parigi e Roma, con un coordinamento politico che leghi il trattato del Quirinale a quello di Aquisgrana siglato nel 2019 tra Germania e Francia. Per inciso il testo italo-francese (più di 6300 parole) appare molto più dettagliato e per certi versi più ambizioso di quello franco-tedesco di “sole” 2800 parole.

Ci troviamo forse alla vigilia della formazione di un direttorio a tre che, per quanto informale, possa trainare gli altri Paesi dell’Unione, o almeno alcuni di questi, verso quella “ever closer Union” che era negli auspici dei padri fondatori? È presto per dirlo, ma indubbiamente è stato fatto un passo nella giusta direzione.

L’ottimismo (cauto) del trattato del Quirinale. Scrive il gen. Camporini

Con la firma al Quirinale, Italia e Francia si sono chiarite sul concetto di autonomia strategica e della centralità della Nato. E per l’Ue si prospetta un direttorio a tre con la Germania. Il commento del generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa

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Di Joseph La Palombara

Il professore emerito di Yale e noto politologo americano descrive su Formiche.net la corsa al Quirinale vista dagli Stati Uniti. La soluzione ideale per gli americani è un Mattarella bis e un mandato di Draghi a seguire, il premier serve a Palazzo Chigi. E su Berlusconi…

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