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Si parte sempre da qui: i banchi universitari. Per colmare davvero il gap con il resto dell’Europa nell’Intelligenza artificiale, l’Italia deve prima frenare la “fuga di cervelli” all’estero. Questo il cuore della nuova strategia del governo Draghi per l’IA pubblicata mercoledì e anticipata un mese fa da Formiche.net.

Ventiquattro interventi di policy, tre anni per realizzarsi. Il piano 2022-2024 appena licenziato da Palazzo Chigi è una corsa contro il tempo. Trattenere i talenti, lavorare sulle competenze, accelerare nella digitalizzazione della Pubblica amministrazione. Anche l’Italia ha la sua road map sull’IA, con un certo ritardo. Il piano era stato infatti annunciato nel 2018, e solo dopo tre governi e una lunga serie di consultazioni pubbliche si è trovata la quadra.

Le premesse non sono rosee. “Nonostante il buon punto di partenza, il comparto della ricerca italiana sull’IA registra quattro punti di debolezza – si legge nel documento stilato da tre ministeri (Università, Sviluppo economico e Transizione digitale), che li elenca: “Frammentarietà della ricerca”, “insufficiente attrazione di talenti”, “divario di genere significativo”, “limitata capacità brevettuale”.

Di qui la necessità di ingranare la quinta: nel piano sono indicate decine di investimenti nel settore – con un particolare focus sul mondo della ricerca – da finanziare con il Recovery Plan, con una somma che ammonta a 26 miliardi di euro.

Due in particolare sono i problemi strutturali della ricerca italiana cui il piano vuole mettere mano. Il primo: aumentare i fondi pubblici: i Paesi europei in media investono il 2,38% del Pil, l’Italia solo l’1,45%. Anche gli stipendi sono al di sotto: un ricercatore italiano guadagna in media 15,3 euro all’ora, contro i 48 euro e i 22 euro dei ricercatori tedeschi e francesi. Il secondo: facilitare la crescita delle start-up italiane che eccellono nell’IA per la creazione di player nazionali competitivi all’estero.

I dati non mentono: il mercato italiano sconta gravi mancanze strutturali. Secondo una rilevazione di febbraio dell’Osservatorio sull’IA sono 260 le aziende registrate che offrono prodotti e servizi nell’IA. Il mercato privato, che nel 2020 ha raggiunto un valore-record di 300 milioni di euro, comunque al di sotto della media europea, è trainato dai settori manifatturiero (22%), bancario-finanziario (16%) e assicurativo (10%).

Fra le proposte in campo elencate (qui nel dettaglio tutti i progetti finanziati), il rilancio del “Programma nazionale di Phd”, con un nuovo programma da tre cicli e 3000 nuovi posti ogni anno da 600 milioni di euro, o ancora un programma per finanziare i giovani ricercatori di talento con 600 milioni di euro, insieme a 5 milioni di euro all’anno per il programma “Rita Levi Montalcini” del Miur. Un altro miliardo e mezzo per potenziare l’istruzione negli Istituti tecnici superiori (Its), 430 milioni per la creazione di nuove carriere dentro la Pa, 3,2 miliardi per la creazione di corsi di formazione in materie STEM.

L’IA, si legge nella strategia, deve diventare “un pilastro a supporto della Transizione 4.0”. A questa missione sono dedicati ben 13 miliardi di euro. Obiettivo: supportare la crescita di imprese nel settore delle certificazioni per l’IA, costruire le infrastrutture necessarie per “sfruttare in sicurezza il potenziale dei big data”. “L’intelligenza Artificiale è lo strumento con cui il nostro Paese nei prossimi anni – dice il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti – vuole rafforzare l’interazione tra centri di ricerca e impresa, in modo da creare le premesse per uno sviluppo basato sulla capacità di innovazione.”

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