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Nel pessimismo dei tavoli negoziali di Vienna iniziano a farsi timidamente spazio alcuni segnali di ottimismo. Tanto che, secondo alcuni analisti, il ritorno degli Stati Uniti all’accordo sul nucleare con l’Iran potrebbe essere questione di pochi mesi. Teheran punta a sfruttare quelle che percepisce come debolezze di Washington e raggiungere un accordo, ma posticipandolo il più possibile per proseguire negli sforzi nucleari. Ma anche in quelli missilistici.

Sembra confermarlo quanto raccontato da Farheekhtegan, giornale molto vicino alle fazioni conservatrici del regime iraniano. Nei giorni scorsi, Amir Ali Hajizadeh, comandante delle forze aerospaziali dei Pasdaran, ha annunciato alcuni successi in campo militare tra cui test su missili a combustibile solido. E la testata, che ha elogiato il governo di Ebrahim Raisi per la sua fermezza nei negoziati a Vienna e attaccato gli “sforzi sionisti-sauditi”, ha riferito che l’Iran punta ad aumentare la sua gamma di missili balistici. Lo sviluppo di un missile in grado di raggiungere obiettivi a 5.000 chilometri di distanza è “più vicino che mai”, si legge. Con tale gittata le armi di Teheran rappresenterebbero una minaccia per l’Europa, primo motore diplomatico del ritorno alle trattative a Vienna.

Numeri che sembrano seppellire definitivamente le parole pronunciate nel 2017 da Mohammad Ali Jafar, capo dei Pasdaran dal 2007 al 2019, secondo cui l’Iran non ha bisogno di aumentare la gittata dei suoi missili balistici poiché quella attuale è in grado di colpire le forze statunitensi e israeliane nella regione. Appena entrato in carica, il suo successore, Hussein Salami, aveva messo in guardia da un aumento della pressione sull’Iran, pena nuovi sforzi missilistici.

Nonostante le preoccupazioni più volte ribadite, gli Stati Uniti sembrano ultimamente meno interessati a inserire all’interno dell’accordo nucleare con l’Iran anche un’intesa sul programma missilistico. Teheran ringrazia.

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