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Le parole di Pier Silvio Berlusconi, pronunciate a margine della presentazione dei palinsesti Mediaset, hanno acceso un dibattito tutto interno – ma non troppo – al centrodestra. Un’uscita pubblica, la sua, che ha toccato temi politici senza mai chiarire fino in fondo se ci sarà o meno una sua discesa in campo. Ha elogiato Giorgia Meloni, ha parlato di nuovi volti, di Forza Italia, ma anche – e soprattutto – di futuro. Per leggere questi passaggi formiche.net ha parlato con Luigi Di Gregorio, politologo e docente all’Università della Tuscia, che da anni osserva con attenzione l’evoluzione del sistema politico italiano.

Professor Di Gregorio, come ha letto le parole di Pier Silvio Berlusconi?

Le ho trovate piuttosto “veltroniane”. Piene di “ma anche”. C’è un po’ di tutto: cautela, allusioni, aperture. Ha detto delle cose, ma senza affondare mai il colpo. Mi è parso il tentativo di delineare una posizione, ma rimanendo sempre un passo indietro, in quella zona di mezzo tra comunicazione e impegno diretto. Aspetto, quest’ultimo, non escluso in prospettiva ma sul quale non c’è stata chiarezza fino in fondo.

Per il cognome che porta però, probabilmente una scelta o prima o dopo dovrà farla. Non crede?

Pier Silvio è, prima di tutto, un Berlusconi. E questo è un brand potentissimo. Però non basta. Silvio si era costruito tutto da solo, si era fatto da sé, e questo nell’immaginario collettivo contava moltissimo. Era l’underdog, come lo è stata Meloni. I figli, invece, partono da una posizione opposta: devono dimostrare molto di più di ciò che ha fatto il padre. E non è semplice. Non ereditano automaticamente la sua empatia, la sua capacità di connettersi con la gente, che era straordinaria.

Pier Silvio ha fatto un endorsement piuttosto esplicito per Giorgia Meloni. Segnale politico o gesto da imprenditore che guarda alla stabilità?

Io lo leggo più nella seconda chiave. Pier Silvio è, prima di tutto, un attore economico. E oggettivamente oggi il governo Meloni è uno dei più stabili in Europa. Non crolla nei consensi, ha una prospettiva di legislatura solida. Quindi da quel punto di vista è un asset. È chiaro che lui riveda in Meloni qualcosa del padre: l’ascesa solitaria, la determinazione, la leadership conquistata passo dopo passo. Ma questo non implica automaticamente una discesa in campo.

Pensa che una discesa in campo possa aiutare il partito?

Pier Silvio ha un potenziale, ma trasformarlo in consenso politico è un’altra partita. La politica richiede esposizione, rischio, capacità di affondo. E anche una certa disinvoltura nel maneggiare il conflitto, che finora non abbiamo visto in lui. In ogni caso, se decidesse di scendere in campo, non potrebbe farlo da “Pier Silvio Berlusconi, figlio di”, ma da leader con una propria visione. E questo richiede tempo e, soprattutto, scelte nette.

Ha parlato anche di nuovi volti. È un’apertura a un ricambio generazionale in Forza Italia?

Credo di sì. Mi è sembrato un pensiero libero, non dettato da strategie di partito. Forza Italia, in fondo, gli sta a cuore. Quando parla di nuovi volti, mi pare di cogliere l’idea di una classe dirigente da rinnovare, dalla quale possa emergere anche il futuro leader. Tajani è un buon traghettatore, sta facendo crescere il partito, ma per tornare ai numeri degli anni d’oro non bastano nuove idee. Servono soprattutto volti nuovi, figure capaci di parlare al presente e al futuro.

Matteo Renzi dopo l’endorsment di Berlusconi a Meloni ha rotto con Mondadori. Teatro o strategia?

Quella di Renzi è chiaramente una mossa comunicativa, una richiesta di visibilità. Ma la sua credibilità è ai minimi da almeno dieci anni. I suoi numeri elettorali sono fermi da quando ha fondato Italia Viva. Detto questo, Pier Silvio non ha detto nulla di eclatante. Renzi prova a occupare spazio, ma è difficile recuperare terreno con queste sole tecniche. Se hai perso la fiducia, la ribalta da sola non basta.

Per il "veltroniano” Pier Silvio la discesa in campo sarebbe un doppio sforzo. Parla Di Gregorio

Le parole di Pier Silvio Berlusconi lasciano aperti ampi spiragli di interpretazione, non avendo preso posizioni nette e inequivocabili. Di certo vorrebbe un ricambio generazionale per la classe dirigente di Forza Italia a cui comunque è molto legato. Una sua discesa in campo sarebbe faticosa: dovrebbe superare lo stereotipo dell’essere il “figlio di” ed elaborare un suo progetto autonomo. Colloquio con il politologo e docente all’Università della Tuscia, Luigi Di Gregorio

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