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La micidiale combinazione della pandemia con l’invasione dell’Ucraina mette il mondo davanti a un ormai non più evitabile scontro tra crescita e sostenibilità. La popolazione mondiale ha raggiunto un livello di 7,9 miliardi nel 2022, con un aumento dell’84% rispetto ai 4,30 miliardi nel 1978. In una prospettiva storica, questo aumento della popolazione mondiale, per quanto spettacolare, segna una progressiva riduzione della crescita della popolazione, che dovrebbe raggiungere gli 11 miliardi solo nel 2100.

Le Nazioni Unite prevedono che la vera esplosione demografica avverrà in Africa, che vedrà la sua popolazione crescere dagli attuali 1,3 a 4,3 miliardi entro il 2100. La popolazione dell’Asia, oggi di circa 4,6 miliardi dovrebbe invece prima crescere a 5,3 miliardi entro il 2050 e poi scendere nella seconda metà del secolo. In sintesi, il peso della popolazione mondiale, oggi concentrata per il 60% in Asia, dopo una fase ulteriore di crescita guidata soprattutto dall’India, si sposterà verso il continente africano. Ma già oggi, la sproporzione tra il mondo “occidentale” e il resto del pianeta è clamorosa: la popolazione totale dell’Europa, gli Stati Uniti e l‘Australia è grosso modo della stessa dimensione della popolazione africana (1,3 miliardi) e meno del 20% della popolazione mondiale.

Il reddito e la ricchezza presentano una distribuzione che ne riflette le caratteristiche in modo inverso a quelle della popolazione, seguendo cioè la cosiddetta legge di Pareto: il 15% della popolazione controlla il 66 % del reddito e più del 70% della popolazione mondiale gode di un reddito inferiore al reddito medio pro-capite. Anche qui però la dinamica è importante. Il prodotto interno lordo (PIL) globale è aumentato da 26.301 miliardi di dollari (a prezzi 2010) nel 1978 a 84.710 miliardi di dollari nel 2020.

Ciò significa che nel giro di 42 anni il Pil globale è più che triplicato, con un aumento del 222% e un tasso di crescita medio annuo del 2,7%. I driver di questo aumento sono la popolazione (+84%), l’accumulazione di capitale (+92%) e, attraverso il progresso tecnico, la produttività (42%). L’incremento della produttività a un tasso medio minore dell’1% annuo è il frutto di un drammatico rallentamento negli ultimi 20 anni, nonostante le grandi aspettative suscitate dal progresso delle tecnologie digitali.

Il consumo globale di energia primaria (ossia di energia ricavata direttamente dalla natura) è più che raddoppiato, da 270,5 EJ (EJ o Exajoule è una misura internazionale dell’energia) nel 1978 a 556 EJ nel 2020. Questo significa che in media a un incremento percentuale del Pil mondiale di un punto ha corrisposto un aumento del consumo primario di energia di 0,7 punti circa. Allo stesso tempo, il Pil pro-capite è cresciuto del 75% da 6117 dollari nel 1978 a 10.721 dollari (sempre a prezzi 2010) nel 2020, a un tasso medio annuo dell’1.34 %, mentre il consumo di energia primaria pro-capite è aumentato del 12%, da 62,8 GJ nel 1978 a 70.38 GJ nel 2020 per un tasso media annuo di crescita dello 0.27%.

Queste cifre fanno prevedere che la domanda di energia tenderà ad aumentare più che proporzionalmente, mano a mano che il tasso crescita della popolazione si ridurrà rispetto all’incremento del reddito. Gli equilibri possibili sono molteplici e dipendono soprattutto dallo sviluppo di nuove tecnologie. I modelli economici attuali, utilizzati per esplorare scenari alternativi, tuttavia, tendono a convergere su un risultato paradossale: a meno dell’introduzione di innovazioni radicali, quanto più la crescita della popolazione rallenterà e quella del reddito aumenterà, tanto più la sostenibilità dell’economia mondiale tenderà ad essere compromessa da una crescita eccessiva.

La ragione di questa previsione è in parte dovuta all’impatto della attività economica sull’ambiente attraverso il cambiamento climatico e le possibili catastrofi naturali, complicata dai conflitti e dalla mancanza di governance globale. In parte però essa è dovuta alla stessa tecnologia, che tende a protrarre, senza realmente risolverlo, il cosiddetto problema dell’ ”over-reach”, ossia del cronico tentativo delle economie sviluppate di sfidare la sostenibilità ambientale, per mantenere un tasso di crescita elevato indipendentemente dal livello di benessere raggiunto.

Il tasso di crescita complessivo risultante è quindi insostenibile, perché una minoranza affluente non accetta di ridurre la propria crescita per consentire a una maggioranza indigente di realizzare il progresso necessario a raggiungere dei livelli di vita accettabili. Questo problema è inoltre complicato dalle profonde differenze tra paesi e all’interno dei singoli paesi, perché il rallentamento della produttività corrisponde a una accelerazione delle ineguaglianze di consumi e di ricchezza.

Uno dei più autorevoli modelli economico-quantitativi sviluppati dalle organizzazioni internazionali, il Global Multi-Regional Markal model è stato recentemente utilizzato per esplorare tre scenari, denominati in modo suggestivamente musicale come: Modern Jazz, Unfinished Symphony e Hard Rock. Il Modern Jazz riflette l’idea di uno scenario dominato dal mercato, dalla creatività individuale e dalla improvvisazione, la Sinfonia incompiuta ipotizza uno scenario di politica (la sinfonia) e di cooperazione tra governi con un’orchestra per suonare e un direttore d’orchestra per prendere la guida.

E infine, l’Hard Rock è uno scenario di frammentazione nazionalistica, di conflitti e di stagnazione secolare, in cui la forza dello spirito è l’ultima risorsa per affrontare i tempi difficili. La Sinfonia incompiuta è il titolo più adatto alla situazione attuale, con la mancanza di beni pubblici globali come la governance e gli investimenti pubblici a scala sovranazionale, che ci sta forse precipitando nello scenario Hard Rock, nell’improbabile illusione che la forza dei mercati e la esuberanza creativa del Modern Jazz ci possa salvare.

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