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“La consegna non sarà immediata, ma i tempi danno un segnale”. Così Jason Brodsky, policy director della United Against Nuclear Iran, organizzazione statunitense che si batte (come dice il nome) contro il nucleare iraniano, ha commentato l’intesa con cui Israele ha annunciato l’acquisto di una dozzina di elicotteri pesanti da trasporto modello Sikorsky CH-53K King Stallion (che sostituiranno i vecchi CH-53 Sea Stallion) e due aerei militari per il rifornimento in volo e trasporto strategico Boeing KC-46. La firma è arrivata la scorsa settimana, dopo una lunga attesa e chiusa con la visita a Washignton di inizio dicembre del ministro della Difesa israeliano Benny Gantz.

L’accordo, che prevede anche l’opzione di acquisto per altri sei CH-53K in futuro, vale 3,1 miliardi di dollari, ha spiegato il ministero della Difesa israeliano. Sono, invece, 3,8 miliardi i contributi che Israele riceve ogni anno dagli Stati Uniti sulla base del memorandum d’intesa decennale firmato nel 2016 e scattato nel 2018.

Questi nuovi velivoli, assieme a altri F-35 che Israele ha in anima di acquistare dagli Stati Uniti, sono destinati a contrastare le minacce poste dall’Iran. Lo dimostrano le parole del ministero della Difesa israeliano sui primi aerei, i KC-46, che arriveranno nel 2025, o nel 2024 se gli Stati Uniti dovessero rinunciare – ipotesi assai remota – alla loro prelazione. Si tratta di mezzi necessari per condurre attacchi contro obiettivi in Iran, a circa 2.000 chilometri da Israele e ben oltre il raggio d’azione dei jet israeliani.

Il loro acquisto, ha spiegato il ministero, “fa parte di uno sforzo più ampio” contro “le minacce attuali e future, soprattutto quelle poste dal ‘terzo anello’”. È così che nel gergo militare israeliano viene definito l’Iran, mentre nel “primo anello” rientrano le minacce al confine e nel ”secondo” Paesi come Iraq e Yemen.

Il tutto, mentre il 27 dicembre sono ripartite le trattative a Vienna sul nucleare iraniano, che si avviano verso il nono round nell’incertezza tra un accordo possibile per ricomporre il Jcpoa (acronimo tecnico dell’intesa stretta nel 2015 e poi messa in crisi quando l’amministrazione Trump tirò fuori gli Stati Uniti nel 2018) e lo scetticismo di chi crede che la presidenza conservatrice di Ebrahim Raisi non accetterà compromessi.

Sotto quest’ottica, le notizie sulle capacità di arricchimento dell’uranio dell’Iran sono un input: Teheran sarebbe molto vicino al livello percentuale utilizzabile per la bomba atomica e questo farebbe sentire la Repubblica islamica in grado di esercitare una posizione di forza sulle trattative, ma il rischio è che sfugga dalle valutazioni uno scenario. La possibilità che ci sia una risposta militare al collasso totale del Jcpoa – possibilità che emerge nei messaggi incrociati che escono dagli Stati Uniti (in parte) e soprattutto da Israele.

Per Gerusalemme qualsiasi soluzione è negativa. Gli israeliani non credono nella bontà di un accordo (lo vedono come un pretesto con cui Teheran può continuare a portare avanti i propri piani atomici in forma clandestina, beneficiando del sollevamento delle sanzioni collegato al Jcpoa); allo stesso modo credono che il collasso dell’intesa possa essere il preludio a una stagione violenta con cui potrebbero vedersi contro le svariate armi sofisticate che i Pasdaran sono riusciti a passare a gruppi sciiti collegati come Hezbollah (passaggi avvenuti nonostante la costante campagna di raid preventivi portati avanti da Israele in Siria e Iraq).

Le prime pagine dei giornali iraniani sono oggi piene di ritratti di Qassem Soleimani, il generale iraniano che ha costruito la strategia delle milizie sciite regionali e che il 3 gennaio 2020 è stato eliminato da un raid aereo statunitense mentre si trovava all’aeroporto di Baghdad insieme al capo dei gruppi filo-iraniani iracheni. La sua famiglia si è recentemente incontrata con la Guida suprema Ali Khamenei e i Pasdaran continuano a promettere vendetta.

In occasione dell’anniversario dell’assassinio alcuni hacker hanno preso di mira il sito web del Jerusalem Post e di Maariv sostituendo i contenuto con un’immagine di un missile che scende da un pugno che porta un anello famoso per essere stato indossato da Soleimani al momento dell’uccisione. Dall’anello esce un razzo che colpisce un bersaglio. L’esplosione è ripresa dalle foto di una recente esercitazione militare iraniana progettata per colpire un target somigliante al centro di ricerca nucleare Shimon Peres Negev, vicino alla città di Dimona. L’impianto è già sede da decenni di laboratori sotterranei che riprocessano le barre esaurite del reattore per ottenere plutonio di grado militare per il programma di bomba nucleare di Israele.

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