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“Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?”, si chiedeva Henry Kissinger. Dodici anni fa José Manuel Barroso rispondeva indicando la britannica Catherine Ashton, che l’allora presidente della Commissione europea aveva nominato Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione europea. Da allora i 28, nel frattempo diventati 27 con l’uscita del Regno Unito, hanno sondato con insistenza vie per un diventare un attore geopoltico in grado di soddisfare quella richiesta dell’ex segretario di Stato americano.

Forse l’Unione europea ancora non si è dotata di un numero di telefono. Ma potrebbe essere a un passo dal dotarsi di un “grande martello”. Così Politico descrive una proposta che sta circolando a Bruxelles: un nuovo “rivoluzionario” strumento commerciale, “e di fatto anche di politica estera”, per imporre contro-sanzioni a individui, aziende e Paesi nel caso di minaccia all’Unione europea o a uno Stato membro. Si tratta di uno strumento di deterrenza secondo la Commissione europea: l’obiettivo, si legge nei documenti rivelati da Politico, è “dissuadere o far desistere un Paese terzo” dall’imporre misure coercitive, “pur permettendo all’Unione, in ultima istanza, di contrastare tali azioni”.

La Commissione può imporre sanzioni ogni volta che un Paese “interferisce nelle legittime scelte sovrane dell’Unione o di uno Stato membro, cercando di impedire o ottenere la cessazione, la modifica o l’adozione di un particolare atto da parte dell’Unione o di uno Stato membro, applicando o minacciando di applicare misure che incidono sul commercio o sugli investimenti”. In pratica, prima di contro-sanzionare l’Unione europea darebbe ai Paesi l’opportunità di fare marcia indietro rispetto alle loro “misure coercitive”, per mediare un accordo basato sulle regole internazionali.

La proposta viene osservata con interesse da Stati Uniti, Cina, Russia ma anche Giappone, racconta Politico. Gode del sostegno di Francia e Germania e, secondo fonti diplomatiche italiane, anche dell’Italia. E cerca di dare risposta a tre problemi.

Primo: la realpolitik ha spesso frenato le mosse della Commissione europea, basti pensare a quando Bruxelles voleva tassare le emissioni delle compagnie aeree e gli Stati Uniti e la Cina hanno minacciato di limitare l’accesso al mercato alle compagnie aeree dell’Unione europea e la vendita di jet Airbus. O a quando Bruxelles ha dovuto chiudere le indagini contro Huawei e sui pannelli solari cinesi dopo che Pechino ha minacciato di tassare il vino francese e limitare le vendite di auto tedesche. O, ancora, a quando Pechino ha minacciato e convinto la Spagna a cambiare il suo diritto penale dopo che i giudici di Madrid avevano emesso mandati di arresto per alcuni politici cinesi ritenuti colpevoli di aver violato i diritti umani.

Secondo: gli Stati membri dell’Unione europea sotto minaccia non possono fare molto per difendersi, poiché sono vincolati dalle regole del mercato unico e dell’unione doganale. Un esempio? Quella della Lituania, finita nel mirino della Cina a causa del suo sostegno diplomatico a Taiwan e l’apertura di un ufficio di rappresentanza di Taipei a Vilnius. Prima Pechino ha declassato le relazioni diplomatiche con Vilnius. Poi ha rimosso la Lituania dalla lista di Paesi di origine delle merci impendendo così ai prodotti lituani di essere sdoganate in Cina e ha respinto tutte le domande di importazione. Gabrielius Landsbergis, ministro degli Esteri lituano, ha detto a Politico che è giunto il momento che la Commissione europea adotti un meccanismo anti-coercizione. “Mentre i Paesi terzi possono colpire uno Stato membro con sanzioni economiche, gli Stati membri non possono prenderne per contrastare queste misure”, ha spiegato. “Gli strumenti per rispondere a tali situazioni appartengono alla competenza eccezionale della Commissione”, ha aggiunto.

Terzo: la regola dell’unanimità che spesso rappresenta un ostacolo alle decisioni dell’Unione europea in politica estera. Infatti, il meccanismo, che ufficialmente è di natura commerciale e non di politica estera, verrebbe attivato dalla Commissione europea senza la necessità di passare dal Consiglio europeo, aggirando dunque veti come quello dell’Ungheria che soltanto la scorsa settimana ho bloccato la partecipazione dell’Unione al Summit per la democrazia convocato dagli Stati Uniti. La ragione? È l’unico dei Paesi membri a non essere stato invitato dal presidente Joe Biden, un po’ per la difficile incompatibilità tra il governo di Viktor Orbán e i diritti umani, un po’ per il feeling tra il primo ministro magiaro e il presidente cinese Xi Jinping.

L’Ue non ha un numero di telefono. Ma sta per avere un “grande martello”

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