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Più del conflitto poté la speculazione. Chiunque si addentri nei panifici o tra i banconi dei supermercati, noterà senz’altro che il prezzo della baguette, dei filoni e delle rosette ha avuto un leggero aumento. Inconsistente, tuttavia, se lo si rapporta ai costi di produzione che hanno raggiunto picchi mai registrati in precedenza. Tutto farebbe pensare alla guerra ingaggiata da Putin verso il granaio d’Europa, l’Ucraina, ma in realtà, come ci spiega il presidente nazionale dei panificatori che fanno capo a Confesercenti Davide Trombini, sono tanti i fattori che determinano questo incremento. E, paradossalmente, il conflitto è solamente la punta dell’iceberg.

Trombini; Davide; Confesercenti; PanificatoriTrombini, l’impennata su grano e farine registra un incremento tra il 20 e il 70% rispetto al prezzo normale di mercato. Questo, sul prodotto finito, come si traduce?

L’aumento del prezzo del grano è soltanto una delle problematiche che il settore dei panificatori sta affrontando. Teniamo presente che, per arrivare al prodotto finale, talvolta occorrono miscele derivanti da venti tipologie di grani diversi. Quindi è difficile ipotizzare una stima che tenga conto di tutti questi fattori. Ma, a concorrere in maniera preponderante all’impennata dei costi, c’è un’operazione speculativa evidente.

Dunque non ci sono problemi con l’importazione della materia prima?

Ci sono problemi per quello che riguarda l’import dei grani “di forza”. Ossia quelli impiegati per realizzare le colombe o i panettoni, che hanno una tenuta di lievitazione maggiore. Si tratta di un prodotto che l’Italia non riesce a produrre, se non in minima parte, e che importiamo da Ucraina, Russia e Ungheria. Questo riverbero è sicuramente imputabile al conflitto. Ma la farina nazionale non c’entra nulla con la guerra.

Rispetto allo scorso anno, un panificatore quanto paga la farina nazionale?

Fino a fine 2021, un quintale di questa farina veniva a costare mediamente 32 euro. Mentre oggi, superiamo i 55. Ma non è vero che la materia prima non ci sia. La verità è che c’è tanta farina stoccata nei granai. Il punto è che viene lasciata lì, in attesa che il prezzo lieviti sempre di più. Gli speculatori oggi, investono proprio sulle materie prime. A questi problemi, si aggiunge anche un altro fattore: quello dei rincari sulle forniture elettriche e sul gas che rischiano davvero di strozzare i forni.

Dal governo avete avuto risposte?

Nessuna. Perché le piccole associazioni sono tendenzialmente inascoltate. Eppure il settore dei panificatori, esclusi quelli industriali, annovera circa 21mila imprese che danno da lavorare a oltre cinquantamila persone. Sono numeri importanti, non andrebbero sottovalutati. Senza contare il fatto che il nostro settore, da una decina d’anni a questa parte, sta vivendo una crisi drammatica.

In che termini?

Abbiamo registrato una sostanziale disaffezione nell’acquisto del pane. Tanto che l’Italia è sprofondata ai minimi tra i Paesi che lo consumano. Sempre restando sui numeri: se dieci anni fa l’acquisto pro-capite era di 220 grammi di pane al giorno, oggi questo valore è sceso sotto gli 80 grammi a persona. Questo elemento ha portato a una contrazione vertiginosa del settore. In quindici anni ha chiuso il 65% dei forni in Italia. Ora, il rischio concreto, è che questa operazione speculativa che si articola anche nell’aumento dei costi della carta, degli imballaggi e delle confezioni, dia la mazzata finale.

Quanto c'è di speculazione nell'aumento del pane. Parla Trombini (Confesercenti)

Il presidente nazionale dei panificatori: “Fino a fine 2021, un quintale di questa farina veniva a costare mediamente 32 euro. Mentre oggi, superiamo i 55. Ma non è vero che la materia prima non c’è. La verità è che esiste tanta farina stoccata nei granai”

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