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La rituale conferenza stampa di fine anno di Vladimir Putin, dove il presidente risponde alle domande di un ben selezionato parterre di giornalisti, non ha riservato grosse sorprese. L’esclusione dei corrispondenti di Novaya Gazeta, il giornale del da poco premio Nobel Dmitry Muratov, e l’impossibilità per i giornalisti delle testate dichiarate “agenti stranieri” di porre domande per non meglio specificate “ragioni di tempo” rientrano nella prassi di dispetti e sgarbi adottata dal Cremlino negli ultimi tempi.

Ancora una volta si è assistito a un siparietto tra il presidente e Ksenia Sobchak, figlia del mentore politico di Putin, già stella televisiva e che da tempo riveste il ruolo di principale esponente di una “opposizione di sua maestà” sceneggiata dall’amministrazione presidenziale, tra una candidatura alle presidenziali del 2018 e qualche domanda scomoda ma non troppo all’amico di famiglia.

Le quattro ore della diciassettesima conferenza stampa dicembrina di Putin hanno visto la questione ucraina e i rapporti con gli Stati Uniti e l’Occidente al centro dell’attenzione, anche se alternati a domande bizzarre sulla versione russa di Babbo Natale, Ded Moroz, e su problemi riguardanti alcune regioni del Paese e la pandemia.

Ancora una volta il presidente russo non ha perso occasione per bollare l’Ucraina come un’invenzione di Lenin, avvenuta in concomitanza con la fondazione dell’Unione Sovietica, e per ricordare come Mosca non recede dalle posizioni espresse nei documenti inviati nelle scorse settimane a Washington e alla Nato. Putin ha però rassicurato come non vi siano piani né tentativi di aggressione verso l’Ucraina, ribaltando allo stesso tempo la domanda, chiedendo se da parte occidentale non vi sia la volontà di perseguire una politica aggressiva verso la Russia.

Un refrain, quello della pressione da parte degli Stati Uniti e della Nato, ripetuto a più riprese, anche riguardo a questioni di carattere interno, come la legge sugli “agenti stranieri”, di cui Putin ha rivendicato l’adozione sull’esempio dei provvedimenti statunitensi, misure considerate dal Cremlino zerkalnye, cioè speculari alle politiche adottate oltreoceano. Anche nella risposta alla Sobchak, che aveva chiesto il parere del presidente sulle torture praticate nei penitenziari e nelle colonie penali russe, Putin ha di nuovo ripreso come pietra di paragone cosa avviene nelle prigioni americane e francesi.

Un atteggiamento che parla di come l’adozione di una retorica spicciola antioccidentale da parte del Cremlino sia costitutiva dell’agenda politica degli ultimi mesi, e serva come segnale verso Washington e le potenze europee nel definire i termini di un futuro accordo, che Mosca vorrebbe globale. Impressione avallata dalle reazioni da parte americana e europea, invero d’apertura al dialogo, e che forse provano anche a prendere le parole di Putin non per un’asserzione di forza, ma per un segnale di debolezza e di ricerca di riconoscimento di uno status di potenza da parte russa. Il 2022 si aprirà inevitabilmente all’insegna delle trattative e dei tentativi di risolvere le tensioni ad est.

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