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Tim è uno dei misteri italiani. Dalla privatizzazione con il suo ‘nocciolo duro’ si è passati ai capitani coraggiosi, che l’hanno acquistata a debito. Un modello, il leveraged byout, che presuppone che le parti valgano più del tutto, ed è compatibile solo con una vendita delle singole parti, che ripagano il debito e remunerano l’intrapresa. Non è stato fatto all’epoca, e la società è stata venduta dopo soli due anni. Nuovo acquirente, nuova ‘leva’.

A partire da quella data, la società non era di fatto più gestibile: in un mercato ad alta tecnologia con pressione concorrenziale crescente, il costo del debito impediva sia la remunerazione degli azionisti sia quegli investimenti che la rivoluzione tecnologica permanente rendeva necessari.

Eppure, e qui è il mistero, Telecom Italia è stata considerata preda appetibile da operatori come Telefonica, prima, e Vivendi ancora oggi. Gli osservatori indipendenti hanno ritenuto che costoro avessero progetti, piani, fondati su informazioni sconosciute ai più ma così, evidentemente, non era. Si è trattato solo di investimenti sbagliati, fondati sulla presunzione di riuscire dove tutti gli altri avevano fallito, e sul convincimento di poter giocare un ruolo sul piano istituzionale.

L’offerta di Kkr ha il merito di far uscire Tim da un’impasse strutturale. Nuova offerta (manifestazione d’interesse, allo Stato) a leva, e stavolta la strategia è scontata: per il soggetto che la propone e perché soluzioni diverse sembrano a questo punto difficilmente ipotizzabili.

Tim d’altro canto è già pronta: parte della rete nazionale (Fibercop), la rete internazionale (Sparkle), la cybersecurity (Telsy), il Cloud (Noovle), Tim Brasil sono già società separate. Il resto segue rapidamente. L’alternativa è proseguire nella retorica del campione nazionale, che però in questo caso ha meno argomenti rispetto a quelli che hanno portato Alitalia dove sta.
I problemi che questa operazione pone sono molti, ma non irrisolvibili. Tra tutti: occupazione, sicurezza nazionale, debito. Ma a certe condizioni, economiche e tecniche, l’operazione conviene quasi a tutti.

Se sarà lanciata un’Opa e se sarà vincente lo deciderà il mercato. Occupazione e sicurezza sono però temi su cui il governo può esprimersi, e quindi dovrà farlo, con i tempi e i modi previsti dalla legge, se l’Opa sarà lanciata davvero.

La procedura del golden power consente di condizionare l’operazione a vincoli di tipo strutturale, quale il controllo di Sparkle e Telsy in mani europee (italiane, con qualche forzatura). Diversamente complesso è il fronte occupazionale, che in operazioni di questo tipo presenta le tensioni maggiori.

Anche un eventuale delisting ha molte asperità: non è facile immaginare una remuneratività (anche) di questa operazione, senza un intervento non fisiologico sul debito. E qui però gli scenari possibili sono molteplici, si vedrà strada facendo.

La cosa peggiore che può accadere è che tutto resti com’era, con gli azionisti (quelli attuali o nuovi) convinti che Tim possa stare sul mercato così com’è. Sogno d’autunno, pare fosse l’ultimo pezzo suonato dai musicisti del Titanic, a nave già inclinata.

Tim, Kkr e il pericolo dello stallo. L'analisi di Bassan (Roma Tre)

Di Fabio Bassan

Se sarà lanciata un’Opa, sarà il mercato ad avere l’ultima parola, e il governo dovrà dire la sua su sicurezza e occupazione. Ma a certe condizioni, economiche e tecniche, l’operazione Tim-Kkr conviene quasi a tutti. La versione di Fabio Bassan, professore di Diritto internazionale dell’Economia all’Università Roma Tre

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