Skip to main content

Si torna a parlare di servizi segreti sui media, ma in chiave negativa, con l’espressione “servizi deviati” che riecheggia nel dibattito. E non è una buona notizia.

Sul banco degli imputati è finito il sottosegretario Alfredo Mantovano, Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica, al centro di un duro articolo del quotidiano Domani, che definisce un “disastro” la sua gestione dell’intelligence, citando il caso dello spyware Graphite di Paragon, la vicenda Al Masri e le verifiche su Gaetano Caputi, capo di gabinetto della Presidenza del Consiglio.

Il dibattito è sempre benvenuto in democrazia: nessuno scandalo, anzi. Ma come stanno realmente le cose? Il governo, in questo caso, è vittima o carnefice rispetto ai casi emersi recentemente sui media?

A ben vedere, anche i più critici manifestano riserve sulla “gestione” dei singoli casi ma nessuno, per quanto è dato sapere, si è spinto a immaginare un ruolo “attivo” del governo volto a deviare l’attività dell’intelligence rispetto ai compiti previsti dalla legge. Occorre, quindi, partire dal riconoscimento che il governo è la prima vittima degli eventuali comportamenti infedeli da parte di appartenenti agli apparati della sicurezza nazionali. Paradossalmente, il fatto che l’Autorità delegata sia oggetto delle polemiche ne è la conferma ulteriore.

Mantovano ripete spesso che l’intelligence è un settore in cui, se c’è silenzio, significa che tutto fila liscio. Se se ne parla, allora vuol dire che qualcosa non sta funzionando. Quanto emerso sulla stampa solleva interrogativi, a volte anche inquietanti.

Allo stesso modo, l’impressione è che il vespaio sia emerso, o stia emergendo, in una sequenza temporale che segue le scelte del governo nel cambiamento della governance del sistema delle informazioni per la sicurezza. Anche qui andrebbe posta una domanda: il governo, attraverso l’Autorità delegata, ha nominato ai vertici dell’intelligence figure in qualche modo “vicine” politicamente? L’impressione è che non si sia ceduto alla tentazione di favorire “amici” bensì di selezionare le figure migliori (questo è il caso, da ultimo, del nuovo direttore del Dis, il prefetto Vittorio Rizzi). Chi ha responsabilità pubbliche assume si di se sia l’onore che l’onere di questo ruolo. Le critiche, gentili o feroci, circostanziate o massimaliste, fanno parte del gioco e Mantovano ha sufficiente esperienza e sensibilità per interpretarle correttamente. Il tema, però, non è nel buttarlo in politica (abbasso il governo, viva il governo).

È fondamentale, oltre che urgente, riflettere su quanto accaduto, individuare le responsabilità e riportare i servizi segreti alla logica che aveva animato la riforma del 2007. Una riforma che nel tempo è stata interpretata con le lenti del passato, in cui il segreto (disciplinato proprio da quella riforma) è stato poi (volutamente?) confuso con il mistero. Non è affatto da escludere, infatti, che quello che vediamo emergere non sia altro che una indiretta risposta al tentativo del sottosegretario di rimettere il comparto nei binari in cui dovrebbe in effetti essere.

Alla dietrologia, tuttavia, non si risponde con ulteriore dietrologia. Cerchiamo di attenerci ai fatti. E i fatti sono che la legge regola il funzionamento dell’intelligence e prevede non soltanto gli obblighi di governo e Parlamento ma anche il ruolo, tanto riservato quanto cruciale, degli ispettori generali. Si tratta di figure fondamentali per garantire il funzionamento della macchina, alle quali la legge assicura “piena autonomia e indipendenza di giudizio nell’esercizio delle funzioni di controllo”. Il legislatore non ha fatto troppo male, forse. E forse varrebbe la pena fidarsi delle istituzioni e del loro lavoro, soprattutto quando è silenzioso ma non di meno efficace (almeno potenzialmente).

Intelligence e silenzio. Il metodo Mantovano e la fiducia necessaria

Negli ultimi mesi, i servizi segreti sono tornati al centro delle polemiche. A finire nel mirino, da ultimo, è stato l’Autorità delegata, Alfredo Mantovano. Ma come davvero stanno le cose?

L'interesse di Tsmc per i chip di Intel. Cosa c'è da sapere

L’azienda taiwanese leader mondiale della produzione di semiconduttori potrebbe rilevare una parte o tutte le fabbriche di quella americana. Un’operazione che soddisferebbe i piani di Donald Trump, sia industriali sia politici, e che rivoluzionerebbe il mercato. Ma è una storia tutta da scrivere

Stellantis punta ancora sull'Italia e rilancia sull'ibrido

Il costruttore produrrà cambi eDct, le trasmissioni a doppia frizione per veicoli ibridi che già realizza a Mirafiori, anche nello stabilimento di Termoli. Il ruolo della concorrenza cinese e le possibili deroghe al Green new deal

Quanto conta il tour di Erdoğan in Asia per la difesa turca

Le visite condotte dalla squadra del presidente Erdoğan in Malesia, Indonesia e Pakistan hanno portato alla firma di diversi accordi di carattere militare. Le intese spaziano dalla vendita di navi e droni alla cooperazione nella guerra elettronica

Usa e Ue parleranno sempre la stessa lingua. Pelanda sul vertice di Parigi

“Il vertice di Parigi? Direi che è un po’ strumentale questa reazione francese che tenta sempre di cogliere l’opportunità per ergersi a numero uno di un’autonomia europea e non troppo dipendente dagli Stati Uniti. L’America vuole tornare a essere impero, costringendo Russia e Cina a diventare da potere globale a potere regionale”. Conversazione con l’analista e docente universitario, Carlo Pelanda

Contro i dazi, governo e Sace devono spingere verso i Paesi Gate. L'analisi di Ferretti

Diventa fondamentale, al fine di mitigare i contraccolpi dei  dazi, che il governo continui nella direzione, anche avvalendosi delle grandi potenzialità di Sace che da 45 anni sostiene le aziende italiane nell’export e nei processi di internazionalizzazione, di ampliare l’interscambio commerciale verso Paesi nuovi. L’analisi di Andrea Ferretti

A caccia di strategia per un’Europa forte. Il commento di Mario Giro

Il Vecchio continente dovrebbe definire la propria politica estera indipendente e procedere con investimenti comuni in ricerca, tecnologia e difesa, come proposto da Draghi. Con un approccio dinamico e indipendente da parte degli Stati membri, l’Italia potrebbe mediare tra Europa e Stati Uniti

Golfo, così l’industria italiana guida la trasformazione della difesa emiratina

L’Italia continua a consolidare il suo ruolo di partner strategico degli Emirati Arabi Uniti, con alleanze industriali che mirano a rafforzare la cooperazione tecnologica e difensiva. In questo contesto, gli accordi stretti con Fincantieri ed Elt Group aprono la strada a una cooperazione rafforzata tra Roma e Dubai sul fronte della difesa

Il ruggito del coniglio. Ecco come si deve muovere l'Europa sull'AI. Scrive Bani

Di Marco Bani

L’Europa, per massimizzare i suoi investimenti nell’IA, deve tracciare una terza via, distinta sia dagli Stati Uniti che dalla Cina. Ha stabilito regole e stanziato fondi, ma ora serve il coraggio di attuare una politica tecnologica che possa coinvolgere tutto il resto del mondo e che possa portare a una nuova produzione tecnologica propria

Anche l’Italia trarrà vantaggio dalla partnership Usa-India. Parla l’ambasciatrice Rao

“L’Indo-Mediterraneo e l’Indo-Pacifico rappresentano un unico grande spazio marittimo e geografico in cui condividiamo interessi strategici comuni”, spiega a Formiche.net l’ambasciatrice indiana Vani Rao, ragionando sulle relazioni Italia-India e il ruolo globale di New Delhi, che passa anche dal rapporto con Washington. “Attraverso iniziative come Imec, possiamo collaborare a progetti infrastrutturali alternativi per porti, telecomunicazioni, logistica e cavi sottomarini”

×

Iscriviti alla newsletter