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Parlando alla World Policy Conference ospitata ad Abu Dhabi, il consigliere per la politica estera della casa regnante emiratina, Anwar Gargash, ha detto che gli Emirati Arabi Uniti stanno cercando il modo per appianare divergenze storiche con la Turchia e l’Iran.

Gargash ha spiegato che davanti al disimpegno americano dalla regione e alle tensioni crescenti tra Washington e Pechino, il Golfo deve evitare ulteriori confronti interni e iniziare a gestire le questioni regionali in modo più proficuo – ossia attraverso il dialogo.

È la rappresentazione pratica di quanto sta succedendo nel Mediterraneo allargato, la cosiddetta area Middle East and North Africa secondo la dottrina statunitense: ossia un progressivo allineamento di carattere più tattico che strategico. Fare di necessità virtù, davanti a “un vuoto che è sempre pericoloso”, come ha detto Garagash.

Una necessità esasperata anche dalla crisi prodotta dalla pandemia Covid e dalla sfida rappresentata dalle grandi transizioni, sia quella energetica che pesa sulle economie di molti dei Paesi dell’area, che quella sociale che chiama questi paesi a spingere una qualche forma di evoluzione per mostrarsi più accessibili, affidabili, potabili al resto del mondo.

Se con l’Iran gli Emirati hanno usato sempre una forma di bastone e carota, costruendo è vero la linea dura contro Teheran ma sempre cercando di evitare escalation, la questione ancora più importante riguarda la Turchia. Come ho avuto modo di analizzare per la Fondazione Med Or, il contatto tra Ankara e Abu Dhabi apre a un’occasione di dialogo che potrebbe avere riflesso su molti dossier, come per esempio la Libia (dove i due hanno preso parte anche alle attività militari, più o meno direttamente, tra Tripolitania e Cirenaica).

“Il recente riesame della Turchia delle sue politiche nei confronti dell’Egitto, della Fratellanza e dell’Arabia Saudita e altri è molto apprezzato. E penso che per noi arrivare a metà strada e raggiungere sia molto importante”, ha detto Gargash. E ancora: “Sono molto positivo riguardo al contatto con l’Iran? Sì, lo sono. Sono molto sicuro che l’Iran cambierà il suo corso regionale? Devo dire che sono più realistico qui, ma scommetto che l’Iran è anche preoccupato per il vuoto e l’escalation”.

Ecco, è a proposito di quel vuoto che entra in ballo il ruolo di dialogo e lo spazio diplomatico per l’Unione europea, e dunque per l’Italia anche, nella regione. Quelli passati sono stati giorni in cui tra Europa e Emirati Arabi Uniti si sono registrate incomprensioni a causa di una risoluzione approvata dal Parlamento europeo che critica la situazione dei diritti umani emiratina. Il tema è delicato, tocca un nervo sensibile per Abu Dhabi e si allunga su una relazione altamente strategica, nonché economico-commerciale, con Bruxelles.

Sottovalutare l’importanza emiratina nel quadrante mediorientale è impossibile, mantenere costante il dialogo è necessario. Cogliere questi passaggi – come per esempio le recenti votazioni in Qatar e gli avvicinamenti tra Doha, Riad e Abu Dhabi dopo la riconciliazione di Al Ula – è necessario. E lo è anche comprendere che per sistemi finora chiusi come quelli in discussione, questi passi significano un’apertura non comune, che va certamente appoggiata pur con la consapevolezza che controversie potrebbero anche permanere.

Se per gli Emirati è ora di parlare con Turchia e Iran

Le parole del più importante consigliere per la politica estera della corte emiratina si inseriscono nel quadro di distensione tattica che sta interessando il Mediterraneo allargato. Occasione per l’Ue (e per l’Italia) di rientrare tra gli attori positivi e propositivi di questa fase

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