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“L‘Occidente è complice dell’escalation dei recenti sviluppi nei Balcani e per questo motivo gli estremisti del Kosovo possono scatenare un conflitto in qualsiasi momento”. Le parole poco diplomatiche vengono dalla portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova. Se da un lato Mosca parteggia per gli alleati serbi, dall’altro è evidente che la stabilità balcanica è direttamente connessa alla politica energetica dell’UE e al suo programma per la sfida dell’immigrazione. Se Bruxelles balbetta, il rischio è che senza un intervento diretto USA, altri attori locali cedano alle sirene nazionaliste, foraggiando così nuove crisi in un momento in cui servirebbero meno liti e più relazioni in chiave energetica e geopolitica (con l’Italia potenziale pivot).

QUI MOSCA

Zakharova accusa espressamente i nemici di Mosca, rei di soffiare sulla “polveriera balcanica dell’Europa che potrebbe essere data alle fiamme in qualsiasi momento dai radicali kosovari con la stimolazione diretta occidentale”. La tesi russa è che i radicali albanesi “cercano con insistenza di sbarazzarsi dei serbi del Kosovo“. Per questa ragione ha messo l’accento sl fatto che le forze speciali del Kosovo hanno invaso due volte le aree popolate dai serbi che “sono rimaste autonome all’interno della Serbia in conformità con il diritto internazionale”.

Per cui, secondo Mosca, la responsabilità è da ritrovare anche nei sovranazionalisti albanesi, che hanno occupato il Kosovo e rivendicano il potere alla vigilia delle elezioni amministrative previste per il 14 novembre: “Sono aiutati e istigati dagli stati occidentali, in particolare da quelli che hanno lanciato l’aggressione della NATO contro la Jugoslavia nel 1999 con l’obiettivo di separare il Kosovo dalla Serbia nonostante le numerose perdite umane”, ha affermato il diplomatico russo.

SERBIA VS KOSOVO

Le tensioni, note da tempo, si sono riaccese nelle ultime settimane in occasione di una controversia burocratica. Il 20 settembre scorso il primo ministro kosovaro Albin Kurti ha promulgato un nuovo regolamento, secondo cui i conducenti serbi sono obbligati a nascondere o rimuovere i propri dati di registrazione. Si tratta del più grave incidente diplomatico dal 2001, quando Pristina ha introdotto un embargo sui prodotti dalla Serbia.

Al momento le auto serbe sono costrette ad acquistare una nuova targa temporanea (del costo di 5 euro e della validità di 60 giorni). Vivaci sono state le proteste, con i serbi nel nord del Kosovo che non hanno reagito bene visto che l’80% dei conducenti nel Kosovo settentrionale utilizza numeri di targa serbi. Per cui centinaia di serbi hanno manifestato, chiudendo i valichi di frontiera di Jarinje e Brnjak. La protesta è continuata mentre i funzionari del Kosovo hanno inviato ulteriori forze di polizia nella regione.

A fine settembre Belgrado ha inviato carri armati al confine con il Kosovo mentre i caccia serbi sorvolavano la regione. Due settimane fa il rappresentante speciale e capo della missione di amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK), Zahir Tanin, ha certificato che le relazioni tra le due parti si sono deteriorate. Le premesse per una nuova stagione conflittuale ci sono tutte.

SCENARI

Il fatto di cronaca legato alla vicenda delle targhe mette a nudo, una volta di più, le ferite non ancora rimarginate tra le due comunità, che chiamano Ue e Usa ad una riflessione articolata. Come è noto, la Serbia non riconosce le autorità di Pristina e inoltre Belgrado definisce la frontiera come un separatore amministrativo e temporaneo. Non vanno dimenticati i 50.000 serbi presenti nel nord del Kosovo che si rifiutano di riconoscere il Kosovo come stato. Il panorama già ricco di problematiche dovrebbe essere calmierato da policies includenti e improntate alla diplomazia, anche per non creare deleterie tensioni in una macro area cratterizzata da due dossier strategici per l’Europa e l’Italia come il dossier energetico e quello immigrazione (la vivacità della Germania in questo senso è palese). 

NUOVE OPPORTUNITA’

Due recenti esempi, tra molti altri, raccontano quanto sia rapida l’evoluzione del settore green e legata alla transizione energetica in quei paesi, appetita da più players. Il Ministero dell’Economia serbo ha deciso di vendere la sua quota del 92% nell’Istituto idrico Jaroslav Černi per un valore totale di 2,8 milioni: si tratta di un asset primario del paese, in sostanza la principale organizzazione di ricerca scientifica nel settore idrico, attiva non solo in Serbia ma nell’intero costone, dove è stato coinvolto in quasi tutti i più importanti impianti e sistemi idrotecnici.

In secondo luogo la prima fabbrica di batterie LFP in Europa (per auto elettriche, autobus, camion, carrelli elevatori, altri veicoli industriali) sarà realizzata in Serbia, a Subotica. Sostenuta da fondi dell’UE, avrà una capacità di 16 GWh all’anno, in un momento in cui è stato stimato che entro il 2030 l’Europa avrà bisogno di 14 volte più batterie di quelle che produce oggi.

@FDepalo

A chi fa gola una nuova stagione di tensioni in Kosovo?

Servirebbero meno liti e più relazioni in chiave energetica e geopolitica. Mosca accusa l’Occidente di essere “complice dell’escalation dei recenti sviluppi nei Balcani”. Nel mezzo il posizionamento dei big player sui temi strategici (compresi i ritardi Ue e il ruolo degli Usa)

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