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Grazie alle nuove tecnologie, alle nuove piattaforme online e ai social network, i giovani sono obbligati a crescere in maniera molto più precoce rispetto alle precedenti generazioni, cosa che porta con sé rischi evidenti. La privacy e la sicurezza informatica non sono solo due temi importanti a livello mondiale, ma sono estremamente rilevanti nella quotidianità dei singoli individui. Chi si interfaccia più volte al giorno con i social network e è spesso inconsapevole di quanto debbano fare le aziende per proteggere i loro dati e garantire la loro sicurezza.

A discuterne durante una conferenza promossa dal Messaggero con i quotidiani del gruppo Caltagirone, Ivano Zoppi, Segretario Generale della Fondazione Carolina Onlus che tutela le vittime del cyberbullismo online, Angelo Mazzetti, Head of Public Policy di Facebook in Italia, Giacomo Lev Mannheimer, Head of Government Relations di TikTok nel sud-Europa e Maura Manca, presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza Onlus. Moderavano l’incontro Maria Latella e Andrea Andrei.

TikTok è uno dei social più utilizzati e, a differenza di Facebook e Instagram dove l’età è diventata più variegata, ha un grande successo tra i giovanissimi. Come ha spiegato Giacomo Lev Mannheimer, TikTok ha una serie di regole poste per la sicurezza dei minori molto avanzate nonostante sia una piattaforma nata da pochi anni. “Affrontiamo il tema su tre aree principali: la prima è la moderazione che riguarda sia gli account che i contenuti che vengono pubblicati; la seconda interessa gli strumenti messi a disposizione per gli utenti e per le loro famiglie; e la terza concerne la sensibilizzazione delle persone,” ha sottolineato Lev Mannheimer. Gli utenti dai 13 (l’età minima) ai 18 anni hanno funzioni limitate rispetto a quelle per i maggiorenni. Per i minori di 16 anni è disabilitata, ad esempio, la messaggistica diretta e la funzione delle dirette live, mentre per i giovani tra i 13 e i 15 anni gli account sono completamente privati, quindi al di fuori della cerchia dei propri contatti, sono resi invisibili.

Come TikTok, anche Facebook ha una serie di norme volte a proteggere i giovani. Ad esempio, ha evidenziato Angelo Mazzetti “gli account di minori, quindi dai 13 ai 18 anni, per default possono condividere le proprie immagini e post solamente con gli amici, gli account Instagram dei minori di 16 anni sono di base privati e di conseguenza le foto non sono visibili a chi non segue quell’account. Esistono, inoltre, delle differenziazioni in grado di targettizzare le pubblicità visibili a queste fasce d’età, impedendo la visione di alcuni contenuti.” Negli ultimi anni, Facebook ha investito circa 13 miliardi di dollari per attuare meccanismi legati alla protezione della sicurezza degli utenti, e in particolare per quella dei più giovani. Ma, come hanno spiegato sia Lev Mannheimer che Mazzetti, le decisioni tecnologiche non sono sempre la sola soluzione, nonostante l’impegno da parte di entrambe, e per questo le regole sono in continuo mutamento.

È importante trovare soluzioni che aiutino a captare perché alcuni giovani si sentano più sicuri a condividere un’idea, un parere, o la propria intimità sui social ma non con le persone vicine. Capire questi meccanismi è molto difficile, secondo Ivano Zoppi (Carolina Onlus) che però ha anche sottolineato l’importanza di accompagnare ed essere presenti nella vita dei giovani durante l’età della crescita. “A cinque anni, nessun bambino dovrebbe avere accesso ai social. Al di sopra dei 13 anni consiglio di accompagnare i ragazzi con un atteggiamento educativo, facendo presente che il mondo online è pieno di opportunità ma anche di rischi. Mentre per i giovani dai 16 anni in su dico alle famiglie che ci deve sempre essere un adulto come figura di riferimento,” con l’intento di incoraggiare le famiglie a porre più attenzione alla vita social dei ragazzi.

Vi è però un problema, che ha riportato la Dottoressa Manca: quello che manca la capacità di comprendere che la vita online è la vita reale, che non sono due mondi separati. Molto spesso questa incapacità proviene dai genitori che sono i primi a condividere e ad avere condiviso la vita dei propri figli online sin da quando erano neonati, e questo inevitabilmente porta i giovani a non comprendere l’importanza della vita reale, il valore di comunicare con le persone e i rischi dei social stessi. “Per combattere la rete, bisogna creare una rete,” ha sottolineato Manca. Solo con un’educazione a 360°, che parte dall’ambiente che circonda i minori, si potrà risolvere il problema della rete online, perché si va a fondo e si crea un gruppo di persone che aiuta.

Per i giovani in rete serve una rete (di protezione). Così si muovono Facebook e TikTok

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