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29 ottobre 1991 – 29 ottobre 2021. Sono passati trent’anni dalla nascita della Direzione Investigativa Antimafia, fortemente voluta, progettata e istituita da Giovanni Falcone sul modello dell’FBI americana.
Il progetto era costituire una forza di polizia investigativa specializzata esclusivamente nella lotta alle mafie superando la logica della frammentazione (malus perenne nel nostro Paese e anche quindi nei sui settori più delicati ) coordinare le forze migliori della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, del Corpo Forestale, della Polizia Penitenziaria, e sfidare e colpire la capacità delle mafie di colludere con l’economia e le Istituzioni nei territori e sugli scenari nazionali ed internazionali.

È stata istituita nell’ambito del Dipartimento della Pubblica Sicurezza con l’art. 3 del Decreto Legge n° 345 del 1991 (ora art. 108 del D.Lgs. 159 del 2011) come appunto un organismo investigativo con competenza monofunzionale, composta da personale specializzato a provenienza interforze”, con il compito esclusivo di assicurare lo svolgimento, in forma coordinata, delle attività di investigazione preventiva attinenti alla criminalità organizzata, nonché di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione mafiosa o comunque ricollegabili all’associazione medesima”.

Un’intuizione geniale accompagnata dalla nascita, sempre 30 anni fa, della Procura Nazionale Antimafia, la Direzione Nazionale Antimafia e delle Dda (Direzione Distrettuale Antimafia) nei territori, per seguire la stessa logica nel superare la frammentazione presente anche nella magistratura che in quel tempo si occupava delle indagini di mafia.
Oggi, nel 2021, quelle ragioni che portarono alla nascita della Dia sono sempre più attuali per combattere le mafie, tutte le mafie e non solo, parlerei di un vero e proprio “modus operandi” nei vari settori pubblici e privati del tessuto economico e sociale di un Paese, che va oltre la classica definizione di ”mafia”.

Oggi le associazioni criminose sono state capaci di trasformarsi velocemente al loro interno e mutare approcci strategici e direi sistemici.
Sanno legare abilmente diversi aspetti, quello sociale e culturale, quello economico e finanziario quello politico e istituzionale, quello militare e violento. Non sono più solo presenti in Italia (ormai sono passati decenni dall’espansione dal meridione al nord) ma hanno solidi ramificazioni in Europa e in tutto il mondo.
Questi primi 30 anni hanno dimostrato che l’intuizione era giusta e la sua utilità accertata. Moltissimi gli arresti con indagini complesse e rischiosissime e soprattutto sequestri di patrimoni immensi. Dalle indagini sulle stragi a quelle sui rapporti di Cosa nostra, dalle banche ai cantieri, dal riciclaggio ai latitanti. Tutto in contesti europei ed americani. La Dia ha svolto un ruolo strategico anche per proteggere dalle infiltrazioni mafiose la ricostruzione delle aree colpite da i terremoti che hanno devastato negli ultimi anni alcune zone del nostro territorio nazionale.

È poi arrivata la pandemia e la conseguente emergenza sanitaria. Occasione ghiotta per la criminalità organizzata per infiltrarsi ancor di più nel tessuto economico e sociale. Dall’inizio dell’emergenza e il conseguente periodo di lockdown hanno offerto alla criminalità l’occasione quindi per riciclare i cospicui profitti illeciti di cui dispone e di insinuarsi nel circuito dell’economia legale. Ad essere esposte non sono solo, come molte volte erroneamente si crede, le classi sociali più deboli e le famiglie in difficoltà, ma oramai anche le imprese più grandi e chi opera nel settore del commercio, della ristorazione che sono tentati dal canto delle sirene di coloro che fingono di voler offrire aiuto e sostegno, con l’intento invece di rilevare attività in crisi e non vi è nulla di moralmente più grave che speculare sulla disperazione della gente.

La criminalità, sfruttando lo storico radicamento sul territorio in presenza di un forte disagio sociale, in questi frangenti punta ad acquisire un “consenso sociale”, offrendo anche beni di prima necessità a chi ne ha bisogno, proponendosi di fatto come alternativa allo Stato, fingendo di offrire aiuti per poi richiederne la restituzione con i ben noti interessi oppure “assumendo” a basto costo chi lavorando in nero per lavoretti vari si è ritrovato all’improvviso senza alcun sostentamento economico.

Secondo gli analisti della Dia, tutte le organizzazioni mafiose hanno, quest’anno, velocizzato “il processo di trasformazione sostituendo l’uso della violenza, sempre più residuale, con linee d’azione di silente infiltrazione”.

Ancora “le difficoltà incontrate per arginare il diffondersi della pandemia, hanno continuato ad imporre limitazioni alla mobilità dei cittadini e allo svolgimento delle attività di importanti comparti produttivi quali quello commerciale, turistico-ricreativo e della ristorazione. Delle difficoltà finanziarie delle imprese potrebbero approfittare le organizzazioni malavitose”.

Inoltre, emerge, dalla relazione semestrale della Dia, un altro settore sfruttato nel periodo pandemico, quello dei farmici, “inquinato con la produzione di beni contraffatti, approfittando della difficile tracciabilità anche negli approvvigionamenti soprattutto dei dispositivi di protezione individuale e di prodotti medicali, farmaceutici e parafarmaceutici». Il lockdown ha poi spinto le mafie a individuare nuovi canali di smercio delle droghe, come il recapito per posta di sostanze acquistate on line sui mercati esteri, nel «darknet market”.

Infine ma non certo per ultimo, il più recente appetito da parte delle cosche e del mondo della corruzione in generale, è il corposo pacchetto di finanziamenti scaturito dal Next Generation EU, declinato in Italia con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, e l’intento di accedere ai fondi stanziati dal Governo per fornire sostegno economico alle categorie più colpite.

L’Europol già nel settembre dello sorso anno, tramite la sua sezione dedicata alle minacce criminali relative all’emergenza Covid-19, ha reso noto che i fondi destinati al Recovery Fund rischiano di finire nelle mani delle mafie, la sua direttrice esecutiva Catherine De Bolle ha lanciato l’allarme sull’ “incremento delle infiltrazioni nell’economia” da parte di organizzazioni criminali e sulla necessità che l’UE comprenda che “ci sono rischi sulla distribuzione dei sussidi e degli aiuti”. Va preso atto che il “male” sì già dato da fare, alimentando casi di truffe sulle forniture sanitarie, che hanno danneggiato i servizi sanitari nazionali, che ci sono state frodi sugli indennizzi di disoccupazione e su altri sussidi dati dai governi alle imprese e che sono stati registrati anche casi di finte donazioni per la ricerca di cure e vaccini.

È fondamentale quindi che sia Dia che Dna e Dda incrementino la loro azione affinché i fondi Ue a titolo del Recovery Fund non diventino facile preda della criminalità organizzata, ma che invece siano destinati a progetti sostenibili, realizzabili, sani per lo sviluppo e la crescita.

Ma per far sì che queste azioni abbiano successo “l’auspicio della Dia è che i governi dei singoli paesi e le istituzioni europee mettano lo stesso impegno profuso per fronteggiare la pandemia e diano le stesse risposte corali” come emerge nella Relazione. «Per una lotta efficace contro tali insidie oltre ad una auspicata e sempre più pregnante legislazione condivisa si impone un impulso sempre maggiore nella circolazione delle informazioni e nella cooperazione sinergica tra gli organi investigativi e giudiziari dei singoli Paesi”.

Le Mafie sono anche sempre più tecnologiche, social ed esperte di criptovalute. Anche nel mondo della “rete” si muovono con disinvoltura. Colgono con naturalezza le varie opportunità offerte dalla globalizzazione. Infatti, nel gestire i tanti business di cui godono, ricorrono anche a pagamenti con criptovalute, come i Bitcoin e, recentemente, il Monero, per i quali è facile sfuggire al monitoraggio bancario. Investono in operazioni di cybercrime arrivando a infiltrarsi nel vasto mondo sommerso del dark web, intensificando, tra le altre, furti di dati per poi chiederne il riscatto. Inoltre, ampliando l’utilizzo della tecnologia, sono aumentate anche le attenzioni al dumping fiscale, investimenti in fondi comuni e in gaming e betting (il gioco d’azzardo e le scommesse)

Insomma, la sfida è immensa. Siamo davanti ad una potenza di fuoco oggi anche e soprattutto economica dal valore di molte multinazionali messe insieme è che in questo periodo storico va purtroppo a saldarsi con mutamenti sociali pericolosi dal punto di vista della tenuta morale di un sistema, dove la verità delle cose viene negata e strumentalizzata.

Per affrontare questa sfida, per fa sì che la Dia possa continuare a portare avanti in un contesto molto diverso da quando vide la luce e crescere sia dal punto di vista progettuale che operativo, bisogna innanzitutto crederci fino in fondo, non lesinare risorse, anche questo sarebbe un delitto e finalmente superare, anche in questo settore, le solite, miope invidie, gelosie e timori di perdere rendite di posizioni consolidate.

Falcone aveva le idee chiare nel suo nuovo ruolo di Direttore Generale degli Affari Penali del ministero di Grazia e Giustizia, chiamato dall’allora ministro Martelli.

Per contrastate la criminalità organizzata, in tutte le sue forme, è assolutamente e indiscutibilmente necessario che lo Stato, con tutte le sue strutture, a cominciare dalla Dia, (che molto hanno operato e tantissimi sono stati i risultati raggiunti), faccia però fare quel salto di qualità nella capacità di colpire le mafie sia sul piano territoriale che su quello globale. Le mafie sanno agire su entrambi i livelli. Le forze di polizia sono efficacissime sull’azione di contrasto locale, mentre hanno bisogno di ulteriori risorse e supporto per il contrasto a livello internazionale. Tutto deve essere sistemico e strategico così come aveva intuito Falcone ed è per questo, nonostante ormai lontano dalla procura di Palermo, che non fu dimenticato da Cosa Nostra e fu trucidato insieme a sua moglie e agli uomini della sua scorta.

Ma la lotta ai crimini continuerà, quantunque, come lui stesso affermò il 30 agosto 1991, “La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano, e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.

Parlare poco, apparire mai. Trent’anni dalla nascita della Dia

Di Biagino Costanzo

Sono passati trent’anni dalla nascita della Direzione investigativa antimafia, fortemente voluta, progettata e istituita da Giovanni Falcone. Per far sì che essa possa crescere sia dal punto di vista progettuale che operativo, bisogna crederci fino in fondo, non lesinare risorse e superare le solite invidie, gelosie e timori di perdere rendite di posizioni consolidate

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