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Su Gaza il ragionamento fatto dal ministro degli Esteri Antonio Tajani è semplice. Per Egitto e Giordania il piano di Donald Trump è irrealizzabile, perché il nodo è rappresentato dalla situazione migratoria dal momento che due milioni di persone che si spostano dalla Palestina all’altra parte del Medio Oriente “creerebbero problemi di migrazione per tutta l’area del Medio Oriente”. La posizione del numero uno della Farnesina dunque è che sia meglio lavorare per la ricostruzione di Gaza. Ma non mancano gli intoppi e gli intrecci su come gli altri player in campo immaginano di risolvere la questione.

I dubbi sul piano

Tajani ha avanzato osservazioni che sono condivise con altri partner, come ad esempio l’Egitto, che si troverebbe in una situazione complessa. Il piano di Trump per l’occupazione di Gaza mette l’Egitto in una situazione difficile, chiamato a trovare un equilibrio tra stabilità interna e aiuti esteri degli Stati Uniti. Tra l’altro pochi giorni fa in occasione dell’incontro tra il presidente americano e il re di Giordania Abdullah II il tema del controllo Usa della striscia è stato sollevato in maniera chiara, come altrettanto chiara è stata la risposta di Abdullah, intenzionato a riflettere su un piano alternativo che non contempli l’espulsione di alcuno dalla nuova striscia. I palestinesi rimangano sulla loro terra, è la posizione comune giordana ed egiziana, su cui Tajani ha aggiunto il proprio gradimento.

Non va sottovalutata la situazione economica in cui versa l’Egitto, che praticamente dipende dagli aiuti esterni (anche via Usa), ma al contempo Il Cairo non può procedere senza una condivisione di intenti con gli altri Stati arabi. Da menzionare l’annuncio da parte di 350 rabbini e personaggi pubblici ebrei pubblicato sul New York Times per dire no alla nuova proposta Trump: “Trump ha chiesto l’espulsione di tutti i palestinesi da Gaza – si legge – Gli ebrei dicono no alla pulizia etnica!” ed è seguito da un elenco dei firmatari, tra cui i rabbini Sharon Brous, Roly Matalon e Alissa Wise.

Il sostegno al piano

Gli Emirati Arabi Uniti sono stati i primi a incrinare il fronte arabo contro il piano di Trump, lo ha detto apertamente l’ambasciatore degli Emirati a Washington secondo cui non c’è “alcuna alternativa” al piano annunciato dal presidente degli Stati Uniti di espellere la popolazione palestinese da Gaza. Yousef Al-Otaiba ne ha parlato in occasione del World Government Summit a Dubai, nella consapevolezza che gli Emirati Arabi Uniti “cercheranno” di trovare un terreno comune con l’amministrazione Trump, certo che “semplicemente non sappiamo ancora dove atterreremo”.

La terza via?

Il realismo emiratino e le perplessità di Egitto e Giordania, dunque, potrebbero essere accompagnate dal tentativo diplomatico di una terza via, non fosse altro perché nel Dna di un soggetto come l’Italia che coltiva da sempre relazioni con entrambi i fronti.

Intanto a Ciampino il ministro degli Esteri ha accolto il C-130J dell’Aeronautica Militare con a bordo 15 minori palestinesi malati oncologici provenienti dalla Striscia. Sono stati trasportati al Policlinico Umberto I. Sulla pista presenti anche il ​​ministro dell’Università Anna Maria Bernini, la rettrice dell’Università Sapienza di Roma Antonella Polimeni e il francescano egiziano, padre Ibrahim Faltas. Due dei piccoli malati sono stati accolti a Torino, all’ospedale Regina Margherita. Il tutto grazie al progetto Food For Gaza.

Gaza e migranti, i nodi da sciogliere secondo la Farnesina

Da un lato Il Cairo e Amman si trovano in una situazione difficile, dall’altro gli Eau accettano il piano Trump. Il puzzle su Gaza si intreccia con il rischio di nuove ondate migratorie, mentre a Ciampino arrivano i primi malati oncologici palestinesi grazie a Food for Gaza

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