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La riunione (in presenza) dell’Eurogruppo (i 19 ministri dell’Economia e delle Finanze degli Stati che fanno parte dell’unione monetaria europea) potrà essere ricordata come particolarmente importante perché segna l’inizio di quelli che possono essere chiamati, con un arcaismo, i “prolegomeni” del negoziato per rivedere (o mantenere come redatte e stipulate circa trent’anni fa) le regole per il funzionamento e la vigilanza delle politiche di finanza pubblica per il funzionamento dell’eurozona.

Si tratta di “prolegomeni” e non di inizio di trattativa per varie ragioni. In primo luogo, come già scritto su questa testata (che ne ha delineato i profili), quattro dei 19 ministri (quelli di Germania, Olanda, Austria e Lussemburgo) sono esordienti; quindi, è quasi d’obbligo che questi quattro volessero annusare il clima e che i loro colleghi volessero, invece, conoscerli al fine di avere un’idea delle loro posizioni quando si tratterà di negoziare. In secondo luogo, sul tavolo ci sono temi e problemi più pressanti: quali politiche economiche e finanziarie di fronte alla nuova ondata dell’infezione e la ripresa di un’inflazione che molti di loro non considerano tanto “temporanea”. Si è, dunque, in una fase preliminare ed interlocutoria per predisporre un negoziato che dovrebbe iniziare verso giugno: allora, si tratterà di se e come modificare la regole del Trattato di Maastricht (e degli accordi ad esso successivi, primo tra tutti il Patto di Crescita e di Stabilità) per ora “sospese” a ragione della pandemia.

C’è, poi, un nodo di fondo: due “grandi” Paesi dell’eurozona (e tra quelli il debito della cui pubblica amministrazione eccede alla grande dalle regole di Maastricht), hanno governi che potrebbe cambiare anche prima dell’inizio del negoziato: Italia e Francia. In Italia lo sorti del governo Draghi – lo sanno tutti – dipendono da quel che avverrà all’elezione del Capo dello Stato. In Francia, ci sono elezioni in aprile: il presidente uscente, Emmanuel Macron, è dato per favorito (sarebbe il quarto presidente della Quinta Repubblica ad avere più di un mandato), ma c’è una buona dose di incertezza a ragione della vera e propria “rabbia sociale” che serpeggia oltralpe.

Si parla di “piano franco-italiano” per dare nuove regole all’eurozona, e soprattutto alleviare i Paesi più colpiti dal peso del debito. A tale piano si sarebbe aggregata la Germania. Pure invenzioni giornalistiche!

Non solo i governi di Roma e di Parigi sanno molto poco del loro futuro prossimo, ma il ministro delle Finanze tedesco Chistian Lindner, che ebbi la ventura di conoscere anni fa quando facevo una seria di conferenze all’Università di Potsdam, ha fatto chiaramente intendere che si concentrerà sull’attuazione della Facility del Next Generation Eu; ossia prima di entrare in un nuovo negoziato occorre accertare che i vari Piani nazionali di riprese e resilienza (Pnrr) vengono attuati bene, sia sotto il profilo delle riforme sia sotto quello degli investimenti. Ha anche fatto sapere che, da liberale, dà grande priorità al completamento dell’unione bancaria (“con un sistema europeo di cauzione e riassicurazione”) – capitolo che numerosi economisti italiani, troppo occupati a formulare piani, più o meno fantasiosi, sul riassetto del debito e a suggerire alla stampa che hanno il suggello di Palazzo Chigi, paiono avere dimenticato. Per ora, Berlino non pare intenzionata a parlare di riforme del Patto di Crescita e di Stabilità, tema “molto divisivo”, anche se pare pronta ad accettare la proposta di escludere gli investimenti verdi dal calcolo del deficit, incentivandoli e aiutando i governi a raggiungere i loro obiettivi climatici. Ciò che a ragione della presenza dei Verdi nel governo della Repubblica Federale.

Alcuni osservatori hanno scritto che il fronte “rigorista” è stato incrinato da una posizione più “aperturista” dell’Olanda. È naturale che la nuova ministra delle Finanze, Sigrid Kaag, prima donna a ricoprire l’incarico, una diplomatica di carriera e già ministro degli Esteri, abbia fatto sfoggio di sorrisi e cortesie al suo esordio nell’Eurogruppo. Non solo, come già anticipato su questa testata, il suo predecessore Wopke Hoekstra, l’ ex ministro delle Finanze, è rimasto nell’esecutivo come ministro degli Esteri, ma – quel che più conta – i lori operosi e risparmiatori elettori sanno di aver fatto sacrifici (soprattutto in materia di pensioni) per mantenere il debito pubblico al 55% mentre francesi ed italiani hanno il debito pubblico al 150% ed al 110% del Pil e possono andare in quiescenza (con assegni pubblici molto più pesanti dei loro) rispettivamente a 60 ed a 63 anni. Attenzione: il tasto della previdenza è anche caro ai tedeschi ed a altri Paesi che hanno adottato un modello a tre pilastri unitamente al metodo di calcolo contributivo. Non ci si deve sorprendere se quando in estate inizierà il “grande negoziato” sulla riforme delle regole europee per la finanza pubblica verranno messi sul tavolo anche i sistemi previdenziali; in fin dei conti, un mercato unico ed una moneta unica possono voler dire anche sistemi previdenziali “compatibili” per la libera circolazione dei lavoratori.

Inoltre, il governatore della Banca centrale austriaca, Robert Holzaìmann, con cui ebbi la ventura, una ventina di anni fa, di partecipare ad un volume collettaneo sulla previdenza, è riconosciuto come uno dei massimi esperti di pensioni a livello mondiale, ed ha difficoltà a comprendere cosa in materia si è fatto e si sta facendo in Italia.

Quindi, a mio avviso, la vera novità della riunione dell’Eurogruppo è che il welfare (non solo pensioni ma anche il così detto ”reddito di cittadinanza” che “i frugali” hanno serie difficoltà a comprendere anche in quanto le loro Ambasciate a Roma li informano su abusi e malversazioni) potranno entrare nel “grande negoziato”.

Toreador (chiunque sarà in giugno) in guardia!!

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