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L’ufficio per il Vicino Oriente del dipartimento di Stato statunitense ha smentito le informazioni uscite su alcuni media a proposito del ruolo giocato da Washington come catalizzatore di un accordo energetico tra Israele e Libano. Eppure questo genere di dinamiche sono esattamente in linea con ciò che gli Stati Uniti vogliono dalla regione del Mediterraneo allargato: aiutare la costruzione di un equilibrio endogeno forgiato anche sulla distensione in determinati dossier complicati, tutto con l’obiettivo di poter gestire da remoto questa nuova stabilità.

Stabilità che in effetti appare in costruzione, con la regione che si dimostra in generale più propensa all’apertura di meccanismi di dialogo, seppure restano divisioni e complessità. Meccanismi che passano anche dalle questioni energetiche, come racconta l’oleodotto Golfo-Mar Rosso che collegherà Iraq e Giordania, o l’intesa a tre tra Gerusalemme, Abu Dhabi e Amman per la costruzione di un maxi impianto solare (e uno di dissalazione collegato). E almeno in quest’ultima occasione il ruolo americano era chiaro: l’inviato per il Clima, John Kerry, era presente alla firma sull’accordo messa dai rappresentanti dei tre Paesi.

Questioni energetiche che sono al centro del grande dibattito sulla transizione (energetica, ma questo significa anche economica, sociale e culturale) che sta investendo la regione, e che per il futuro prossimo sembrano destinate a continuare a guidare le dinamiche diplomatiche anche nella loro forma classica legata a gas e petrolio.

Uno dei motori di queste dinamiche sono gli Accordi di Abramo, anche questi catalizzati dagli Usa per permettere la normalizzazione delle relazioni tra lo stato ebraico e il mondo arabo (l’obiettivo è rendere più fluido l’affidamento a Israele del ruolo da viceré statunitense). L’intesa avviata da Emirati Arabi Uniti e Bahrein si sta allargando, include il Marocco e il Sudan e informalmente diversi altri Paesi (come la Giordania), mentre altri stanno usando come leva il possibile riconoscimento di Israele per cercare di ottenere dividendi diretti – è il caso della Libia.

Secondo quanto riferisce Channel 12, per la prima volta nella storia Israele ha firmato un accordo, siglato segretamente questo fine settimana, per fornire gas naturale al Libano. La rete israeliana, attraverso le sue fonti, ha ricostruito un ruolo di mediazione degli Stati Uniti – giocato direttamente dal senior advisor for Energy Security Amos Hochstein. Israele trasferirà il gas dal giacimento Leviathan alla Giordania, da dove sarà inviato al Libano attraverso la Siria.

Il Leviathan è uno dei grandi giacimenti del Mediterraneo orientale, e si trova nel bacino gasifero del Levante, su cui anche il Libano ha interessi e (teoricamente) diritti. Nell’ottobre 2020, Israele e Libano hanno accettato, dopo tre anni di mediazione americana, di condurre negoziati diretti per la definizione della disputa sul confine marittimo tra i due Stati ancora formalmente in guerra.

Secondo le informazioni circolate, non solo questo spostamento sarebbe stato approvato/mosso da Washington, ma anche coordinato con il presidente russo Vladimir Putin. L’accordo sarebbe stato progettato per fornire al Libano un’alternativa all’Iran mentre cerca di riprendersi da una profonda crisi economica che lo porta a essere particolarmente vulnerabile.

L’intesa ha un valore geopolitico individuabile già semplicemente nel tracciato che il gas dovrà compiere. La Giordania torna a essere attore di ruolo, la Siria rientra in questi movimenti ora che la guerra civile è praticamente conclusa e il rais sanguinoso Bashar el Assad è quasi completamente riqualificato tra chi muove affari internazionali. Anzi, la stabilizzazione a Damasco è usata come vettore – anche fisico – per evitare lo smottamento del Libano, che ha complessità tali da poter produrre un nuovo conflitto civile a potenzialità regionale e globale come successo nel 2011 con la guerra in Siria.

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