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L’estate sta finendo e un anno se ne va. Come quella sgangherata canzone dei Righeira, il voto di domani-un po’ surreale, un po’ schizoide- chiude la lunga e bollente estate italiana, stagione in cui il pensiero per contrappasso si raggela più del solito nelle periferie della mente politica.

Tuttavia, di fronte allo sferragliare di meningi alacri che si è udito in questa campagna elettorale, praticamente fatta esclusivamente dalle procure della Repubblica, alcune annotazioni di merito appaiono necessarie.

La prima: per favore smettiamola di trarre indicazioni politiche generali dal voto delle amministrative. Chi ha dimestichezza con le statistiche sa bene che anche quando i partiti erano tutto in questo paese, il voto amministrativo aveva un valore circoscritto al locale. Certo, a volte serviva a dare il colpo di grazia a qualche leadership già traballante, ma già dai tempi della prima repubblica non si verificava la sovrapposizione tra risultato locale e umore politico generale. Figurarsi oggi che i partiti sono diventati il niente.

La seconda: ormai i partiti nazionali sono minoritari nelle competizioni locali e mimetizzati nelle giostre del civismo: dunque che confronti fai?

Tre: la latitanza dei “brand” nazionali rende le liste in competizione le vere determinanti del risultato che, mettiamolo a caratteri cubitali, poggia sul voto di preferenza, roba ormai sconosciuta sul piano nazionale.

Dunque le faccine che trovate in giro sui santini elettorali, sono quelle di persone normali impegnate nella catena di Sant’Antonio del voto, non quelle delle superstar dei tiggì e dei talk show nazionali. Chiarito tutto questo diciamo che la cosa più probabile che può accadere è che, quale che sia il voto- senza green pass – di domenica e lunedì, non succederà nulla di rilevante al governo e alla politica. Insomma: dopo il solito strascico onanistico dei commenti tra martedì e mercoledì, la legislatura si trascinerà, coi suoi singulti e le sue ansie, ma sostanzialmente col suo desiderio di completare il quinquennio, fino alla primavera del 2023.

I parlamentari vivono tutti lo psicodramma di una auto-eutanasia procuratasi per fare gli splendidi con il popolo giacobino tagliandosi il 36,5% di quel che avevano, cioè essi stessi. Lo spettro del non ritorno a Palazzo oggi è lì, peggio del teschio di Yorik, tragico e beffardo, e nessuno vuol perdere un solo giorno di permanenza in Parlamento ( neanche gli adepti della signora Meloni, oppositrice e aspirante vincitrice nel nuovo Parlamento).

L’alibi della pandemia non estinta c’è, la ragione forte del sostegno al governo del Pnrr di Super Mario è ineccepibile. Dunque nulla accadrà. L’unico che rischia il collo in questo giro, alla fine della giostra, è solo Enrico Letta, e non per il voto amministrativo ma per le suppletive di Siena, città rossa per tradizione antica ma al giorno d’oggi non si può mai dire. Per il resto, riassumerei con un tweet:

1) aspettiamoci un calo di partecipazione e un’onda lunga di ballottaggi;

2) la destra – che vince in sgarrupatezza perfino il Pd, il che non è poco – vive il suo momento magico dell’incasinamento perfetto: se andassimo alle politiche vincerebbe “a sua insaputa”. In questo giro di amministrative le baruffe chiozzotte intra-partitiche (vedi Lega e i pro e contro governativi), interpartitiche ( vedi Lega-FdI), le candidature sbagliate nelle grandi città e i guai giudiziari alla fine potranno ( forse) fare un po’ di danno nei capoluoghi, ma non sposteranno masse di voti nei territori. A sinistra più o meno uguale: il Pd salverà la faccia perché quel poco che resta del vecchio apparato è tanto rispetto al resto della politica, i Cinque Stelle arrancheranno perché sul territorio non ci sono. Sono un movimento d’opinione che se la cava meglio quando non è al governo e si vota solo la lista. Non è un brand da elezioni locali. Qualche ballottaggio lo acciufferà e ci appenderà gli alleluia del giorno dopo.

Lunedì 11 ottobre, dopo una settimana dal voto, le elezioni locali saranno scomparse dai radar. Come nei loop di qualche film di fantascienza dove il protagonista vive sempre la stessa giornata all’infinito, la scena abituale della politica di tutti i giorni si ricomporrà ed al travaglio usato ciascuno in suo pensiero farà ritorno.

Phisikk du role - Il voto di domani, come una canzone dei Righeira

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