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Da diverse settimane l’inflazione ha iniziato a galoppare. Se prima è stata negata, poi giudicata trascurabile, poi transitoria ora si inizia a comprendere che l’economia globale deve fare conto con questa dinamica legata a vari fattori.

A seguito delle misure di alleggerimento quantitativo, il bilancio della Banca centrale europea ha raggiunto il 60% del prodotto interno lordo dell’area euro a fine 2020; le iniezioni fiscali dei governi nazionali e l’Unione europea sono valse l’8.8% del Pil dell’area euro. Per capire l’ordine di grandezza, basta pensare che pre Covid il bilancio della Banca centrale europea ammontava al 40% del Pil e le misure fiscali dell’area euro del 2019 valevano appena lo 0,6% del Pil. A questi stimoli si sommano le tensioni geopolitiche, che spingono al rialzo i prezzi dell’energia segnando un +25% su base annuale; così come la ripartenza dei consumi dopo le prime due ondate di Covid, che ha creato un collo di bottiglia dal lato dell’offerta (basti pensare alle file di navi porta container al largo della California). Questi fattori hanno spinto l’inflazione abbondantemente sopra la soglia del 2% arrivando, come recentemente misurato dall’Eurostat, al 5% su base annua per il mese di dicembre 2021 nell’eurozona.

Alla luce di questi dati, occorre rivedere l’articolo 6 del Regolamento 241/2021 che istituisce il dispositivo per la ripresa e resilienza, il quale prevede l’assegnazione dei prestiti e dei trasferimenti a prezzi del 2018, quando questi scenari inflazionistici erano lontani e non immaginabili. Il Nextgeneration EU è stato uno degli strumenti che l’Unione Europea ha messo in campo per contrastare i danni economici della pandemia e il nostro Paese, come sappiamo, è il maggior beneficiario per complessivi 191 miliardi a cui si sommano i più rapidi fondi del ReactEU per arrivare a un totale di 222 miliardi. Fondi che devono essere spesi entro il 2026 ma i cui piani sono già scritti e concordati con l’Unione europea nella prima metà 2021 (quando dell’inflazione non c’era traccia). Parliamo di investimenti pluriennali che coinvolgono il settore della tutela ambientale e della promozione digitale. In una parola, infrastrutture.

Dal momento della definizione del piano, e sopratutto dei progetti che ne fanno parte, è entrata in campo prepotentemente l’inflazione. Questa può eventualmente compromettere la riuscita di alcuni progetti specialmente se questa dispiega i propri effetti nei primi anni del quinquennio. Se pensiamo infatti a infrastrutture logistiche come strade o ferrovie, ambientali come quelle per le gestioni idriche, o digitali, ci rendiamo conto come facciano riferimento ad elementi notevolmente impattati dalla crescita dei prezzi che ha caratterizzato materie prime (e microchip).

Basta dunque comporre l’interesse, per capire che un’infrastruttura da realizzarsi in 5 anni che costa 100, potrà veder lievitare i propri costi se l’inflazione (e più precisamente il rincaro delle materie prime) inciderà del 3-5 % anno su anno, anziché dell’1% com’è stato negli anni precedenti fino alla redazione del Pnrr.

Ecco dunque che se non vogliamo trovarci con limiti d’irrealizzabilità finanziaria di diversi progetti del Pnrr è il caso che l’unione europea tenga conto delle “mutate condizioni al contorno” che modificano le circostanze del piano che vede il nostro Paese come maggiore beneficiario. Questa nostra proposta si inserisce nella scia del paper italo-francese di revisione delle regole fiscali: la proposta lanciata dal presidente del Consiglio Mario Draghi e dal presidente Emmanuel Macron, oltre a prevedere una messa in comune del debito pandemico e della crisi del 2009 (si stima per l’Italia 340 miliardi, il 19% del Pil), prevede una flessibilità maggiore per investimenti a valore aggiunto europeo e per investimenti di lungo periodo.

Prevedere un aggiustamento dinamico all’inflazione dei trasferimenti del NextGenerationEu significa, infatti, non disperdere il potenziale di spinta fiscale nel breve periodo e spalmare l’effetto dell’inflazione, particolarmente pronunciato nel 2022 e nel 2024 da qui al 2027, anno di rendicontazione finale dei progetti alla Commissione europea.

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