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Non ha avuto nemmeno il tempo di assumere l’incarico che Hans Grundberg, il nuovo inviato dell’Onu per lo Yemen, che già in passato ha ricoperto questo incarico per l’Unione europea, è stato accolto da una serie di attacchi dei ribelli Houthi contro l’Arabia Saudita.

All’alba del 5 settembre infatti la difesa aerea saudita ha intercettato e distrutto tre missili balistici e tre droni carichi di bombe lanciati dalla milizia Houthi verso la provincia orientale, Jazan e Najran. Uno di questi droni, il terzo, è stato intercettato mentre era in volo come mostra questo filmato diffuso dalla Coalizione.

Si tratta di attacchi che la formazione filo iraniana conduce da tempo contro il vicino regno saudita per il conflitto in corso in Yemen e che prendono di mira le zone civili e industriali del Paese. Uno di questi missili è stato intercettato infatti nella periferia della città petrolifera di Dammam, che si affaccia sul Golfo, e la deflagrazione in aria ha causato la dispersione di detriti sul quartiere periferico di Dahyat Al-Dammam, che ha provocato il ferimento di due bambini sauditi, e danni minimi a 14 case, come mostrano le immagini diffuse sui social.

Immediata la condanna sia dei Paesi arabi alleati come Egitto, Emirati Arabi Uniti e Giordania che degli Stati Uniti. La concomitanza di questi attacchi con l’arrivo del nuovo inviato internazionale non è passata inosservata se si considera che quello del 5 settembre è uno degli attacchi più violenti lanciati dagli Houthi contro l’Arabia Saudita dallo scorso maggio.

Dal canto suo Grundberg ha promesso che avrebbe lavorato senza sosta alla ricerca di un cessate il fuoco e ha detto, in un discorso registrato rivolto agli yemeniti, che avrebbe ricordato a tutti gli interessati la loro “responsabilità condivisa verso il futuro dello Yemen”. Eppure Grundberg appare consapevole delle difficoltà che risiedono soprattutto nel fatto che gli Houthi hanno rifiutato il piano di pace proposto dai sauditi e le mediazioni internazionali proseguendo l’offensiva sulla città di Marib, ricca di petrolio e da sempre obiettivo del gruppo sciita, che rischia di provocare un dramma umanitario di immani dimensioni considerando che la città ospita buona parte dei profughi fuggiti dai territori in mano al gruppo filo iraniano.

L’inizio della missione del nuovo inviato delle Nazioni Unite è infatti coinciso anche con un’escalation militare degli Houthi, che hanno lanciato violenti attacchi verso la città di Marib. Secondo gli analisti yemeniti però dietro questa escalation potrebbe esserci anche una volontà di vendetta per una serie di colpi messi a segno di recente dalla Coalizione araba a guida saudita sul territorio. Un importante leader dei ribelli Houthi ha infatti perso la vita il 3 settembre sul fronte ad ovest di Marib. Il Colonnello Yahya al-Hatmi, capo del settore dei media militari dell’esercito nazionale yemenita, ha affermato che la milizia Houthi sta cercando disperatamente di raggiungere il cadavere di Abu Hazaa al-Madani per recuperarlo senza però successo.

Inoltre, Fonti della sicurezza yemenita hanno annunciato di aver arrestato la scorsa settimana un leader Houthi noto per essere uno dei più importanti riferimenti del pensiero settario iraniano. Si tratta di Hassan Ali Yahya Al-Emad. L’esponente sciita yemenita è stato fermato mentre stava tornando, sotto mentite spoglie, dall’Iran attraverso il porto di terra nell’area di Shahn, nel Governatorato di Al-Mahra.

Il primo ministro yemenita, Maeen Abdul-Malik, ha detto di recente che la continua escalation militare degli Houthi è un’ulteriore indicazione che intendono procedere con la loro guerra, e che non hanno ceduto all’opzione della pace, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa yemenita “Saba”.

L’ex inviato delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, è stato vicino al successo della sua mediazione, raggiungendo un accordo di cessate il fuoco a Marib, in concomitanza con l’apertura dell’aeroporto di Sana’a e del porto di Aden e la cessazione dei raid sauditi, ma gli Houthi lo hanno respinto e hanno chiesto che il cessate il fuoco fosse stabilito solo in una fase successiva.

Secondo Abdul-Ghani Al-Iryani, ricercatore senior presso il Sana’a Center for Studies (organizzazione non governativa yemenita) l’escalation degli Houthi sarebbe invece legata all’atmosfera creatasi dopo il controllo dei talebani sulla città di Kabul. Parlando all’emittente “Al-Jazeera”, l’analista ha spiegato che “questa faccenda ha aperto l’appetito degli Houthi per il controllo di altre zone dello Yemen. Ha anche elevato le aspettative dei loro sostenitori, ed è diventato necessario per loro farsi avanti e annunciare di voler riprendere il controllo su tutto lo Yemen”.

Ali Abdullah Saleh

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