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Il patto trilaterale tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia è in linea con la strategia della “Global Britain”? Sulla stampa e nei pensatoi inglesi non sono mancati gli scontri polemici sul nesso tra l’intesa appena raggiunta nel Pacifico e la Brexit. Secondo alcuni, un simile accordo si poteva raggiungere senza problemi rimanendo all’interno dell’Unione europea, per altri invece solo la Brexit ha reso possibile un passo di questo tipo.

Si tratta in entrambi i casi di letture ancora troppo polarizzate sulla Brexit o sulla figura del premier [Boris] Johnson, letture caratterizzate da un’ottica partigiana che sarebbe utile abbandonare.

Più importante osservare come effettivamente, all’interno del documento strategico stilato dal governo inglese sulla “Global Britain”, una delle principali novità fosse proprio l’importanza decisiva attribuita all’area dell’Indo-Pacifico. Londra da tempo ha preso atto dello spostamento sempre più marcato della competizione geopolitica e delle risorse economiche in questo quadrante del globo, e di conseguenza ha giudicato vitale essere maggiormente presente nell’area. L’intesa appena raggiunta per contenere le ambizioni cinesi andrà valutata nei suoi sviluppi concreti, ma la consequenzialità tra quanto scritto nel documento sulla “Global Britain” e quanto perseguito con il patto trilaterale “Aukus” è evidente.

In linea con l’obiettivo della “Global Britain” è anche il ruolo di convening power che Johnson sta provando a ritagliare per il proprio Paese, spingendo innanzitutto sul ruolo propulsivo di summit internazionali come il G7 e la COP26. Uscire dall’Unione europea, almeno in questo ambito, vuol dire per Londra mantenere una capacità di iniziativa e una velocità di azione che Bruxelles dimostra di non avere ancora, complici le lungaggini dei processi decisionali e una intrinseca difficoltà ad allineare gli interessi di 27 Paesi diversi. Detto ciò, per gli stessi documenti fondanti della “Global Britain”, l’Unione europea rimane un partner essenziale per Londra, dal punto di vista economico ma anche della sicurezza e dell’intelligence, considerato pure che la Russia è invece individuata come il principale pericolo per gli interessi nazionali.

Nel caso del precipitoso ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan a metà agosto, invece, la stessa ex premier [Theresa] May ha detto polemicamente di “non riuscire a vedere la ‘Global Britain’ per le strade di Kabul”. Come a dire che in quel caso è mancata la capacità di una scelta inglese autonoma da quella statunitense. Vero, anche se lo stesso ragionamento si potrebbe fare per tutti gli alleati occidentali degli Americani, di fatto costretti – Unione europea inclusa – a seguire le scelte di Washington in quel contesto. Inoltre la scommessa della “Global Britain” andrà valutata nel tempo, almeno nell’arco di un decennio, e non potrà comunque prescindere dal dato di realtà osservato sopra: Londra non ha mai pensato di poter sostituire o affiancare alla pari la superpotenza americana.

(Estratto da Il Regno unito e la strategia “Global Britain”. Prospettive concrete e sfide future, policy brief della Luiss School of Government)

Tra Global Britain e Special relationship. BoJo alla prova della realtà

Di Domenico Maria Bruni

La scommessa britannica non potrà prescindere dal fatto che Londra non ha mai pensato di poter sostituire o affiancare alla pari la superpotenza americana

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