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La crisi energetica, con il conseguente caro bollette, è al centro della riunione odierna a Lussemburgo tra i ministri delle Finanze dell’eurozona.

Nei giorni scorsi alcuni membri del Parlamento europeo, che questa settimana si riunisce il plenaria a Strasburgo, avevano chiesto alla Commissione di indagare sull’ipotesi di un ricatto russo legato al gasdotto Nord Stream 2. “Chiunque si stia ancora interrogando sulle origini dell’attuale crisi del gas in Europa, con relativa salita dei prezzi, dovrebbe considerare la recente dichiarazione del Cremlino che conferma che la messa in servizio del Nord Stream 2 bilancerà i parametri dei prezzi del gas naturale in Europa”, si legge in un rapporto dell’Atlantic Council. “Se questo non è uno sforzo per ricattare l’Europa, che cos’è?”.

“Sviluppi macroeconomici nell’eurozona, compresi l’inflazione e i prezzi dell’energia” è il primo punto nell’agenda dell’Eurogruppo presieduto dall’irlandese Paschal Donohoe. Della crisi energetica si parlerà anche alla riunione dei ministri delle Finanze di tutti i 27 Paesi membri dell’Unione europea di martedì. Ne riferirà al Parlamento europeo il commissario per l’Energia Kadri Simson. E ne discuteranno anche i leader durante il loro vertice a Bruxelles in agenda a fine mese.

Ma in vista dell’Eurogruppo è la Francia a fare la prima mossa. Il ministro Bruno Le Maire ha consegnato ai colleghi una nota prima della riunione in cui si invita a “esplorare cambiamenti più strutturali”. La lettera, rivelata da Politico, recita: “Nel lungo termine, l’Unione europea dovrebbe concentrarsi sul raggiungimento dell’indipendenza energetica investendo in tutti i mezzi di produzione energetica decarbonizzati”. Quali? Anche il nucleare, che Parigi vorrebbe che la Commissione europea classificasse come verde. “È importante che la Commissione europea permetta anche lo sviluppo dell’energia nucleare. A questo proposito, la rapida inclusione dell’energia nucleare nel quadro della tassonomia europea e nei regolamenti sugli aiuti di Stato è assolutamente necessaria”, si legge ancora.

Secondo i dati forniti dall’Agenzia internazionale dell’energia atomica, la Francia è il secondo Paese al mondo per numero di reattori: 58. Davanti ci sono soltanto gli Stati Uniti, che ne hanno 96. Il nucleare rappresenta oltre il 70% dell’energia elettrica prodotta in totale nel Paese, un record difficilmente raggiungibile. Basti pensare che al secondo posto c’è la Slovacchia, con appena quattro reattori che producono il 53% dell’energia elettrica totale.

Il governo francese è deciso a portare quota del nucleare al 50% del mix energetico entro il 2035. Ma ciò non significa che il nucleare sia caduto in disgrazia a Parigi.

Anzi.

A dicembre, durante una visita presso gli stabilimenti di Framatome, azienda specializzata nei reattori nucleari il cui principale azionista è l’azienda a maggioranza statale Edf, il presidente Emmanuel Macron aveva dichiarato che l’industria nucleare francese “rimarrà la pietra angolare della nostra autonomia strategica”. Inoltre, nei giorni scorsi Agnes Pannier-Runacher, ministro dell’Industria, ha annunciato che il governo potrebbe decidere di costruire sei nuovi reattori nucleari Epr (ad acqua pressurizzata).

Da mesi il governo francese dialoga con la Commissione europea per la ristrutturazione di Edf, che ha debiti netti superiori ai 40 milioni e massicci investimenti da fare.

L’inclusione del nucleare nella tassonomia e il futuro di Edf sono temi “collegati”, spiegava alcune settimane fa Thomas Pellerin-Carlin, ricercatore al Jacques Delors Institute, a Euractiv. “Ma non credo”, aggiungeva, “che una decisione negativa della Commissione sul nucleare possa avere un impatto massiccio su Edf nei mesi a venire. L’impatto sarebbe naturalmente significativo, ma sarà differito nel tempo, con un accesso al finanziamento che diventerà più difficile”. Da un punto di vista politico, però, “il dibattito sul nucleare e sulla tassonomia rischia di sollevare domande sul record europeo di Emmanuel Macron e sul posto dell’Europa in Francia”, proseguiva. “Dopo le elezioni del 2022, qualsiasi nuovo governo dovrà affrontare la questione del futuro di Edf. E c’è un rischio politico reale se Edf dovesse essere divisa o privatizzata. Per gran parte dell’opinione pubblica e della classe politica francese, questo sarebbe interpretato come un simbolo di quello che viene percepito come un declino dello Stato, un ‘declino della Francia’”.

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