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“Siamo qui in Italia per restare”. Sono nette le dichiarazioni di Hu Kun, presidente Western Europe e ceo di Zte Italia, intervistato dal Sole 24 Ore. Non sembrano spaventare il manager cinese i paletti posti alla sua azienda in quanto società extra Unione europea (la toolbox della Commissione europea; i poteri speciali, il Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica e l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale del governo italiano): “Accettiamo tutte le direttive che ci sono state date”, dice. E chiede “certezze a lungo termine” perché “vogliamo partecipare in maniera attiva alla crescita dell’industria e del settore Tlc”. Occhi puntati soprattutto sui fondi del Pnrr, “una grande opportunità per il settore”: Zte parteciperà “a tutte le gare e i bandi seguendo le regole e i requisiti predisposti”, assicura.

Come ricorda Il Sole 24 Ore, il governo statunitense, prima con Donald Trump ora con Joe Biden, chiede agli alleati di non affidarsi alle tecnologie cinese, quelli di Zte così come quelle di Huawei. Ma, sottolinea anche lo stesso giornale, la prima non è, a differenza della seconda, considerata una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti in base all’executive order firmato dal presidente il 3 giugno scorso.

Questo perché l’amministrazione statunitense ha elementi informativi che vengono dal provvedimento in cui l’azienda ha dovuto nominare uno special compliance coordinator selezionato dal dipartimento del Commercio di Washington. Ciò significa che gli apparati degli Stati Uniti hanno potuto vedere l’azienda dall’interno, conoscerne per quanto possibile alcuni processi. Questa visibilità su Huawei, che non è nemmeno quotata a differenza di Zte, non c’è mai stata. È in questi termine che le due società sono diverse per gli Stati Uniti: Zte è meno ambigua, si è definitiva da séstate-owned and private-run” e, riconoscendolo, è rimasta in carreggiata.

Pochi giorni fa su Formiche.net raccontavamo come, anche con Mario Draghi al governo e nonostante i suoi molti paletti sul 5G e sui settori strategici, le aziende cinesi non sembrino intenzionate ad abbandonare il mercato italiano. Entrambe sembrano, infatti, avere una priorità: abbandonare definitivamente gli abiti dei “lupi guerrieri” per non rimanere tagliate fuori dalla multimiliardaria transizione digitale che l’Italia non può più rinviare e che vale 47 miliardi di euro.

In ogni caso sono molti i riflettori accesi. A livello internazionale c’è quello degli Stati Uniti,: a fine giugno, nel corso della sua prima visita in Italia, il segretario di Stato americano Antony Blinken aveva dichiarato a Repubblica che “è molto importante che quando arrivano investimenti da altri Paesi si effettuino i controlli necessari sulla loro origine. Soprattutto tenendo presenti le esigenze della sicurezza nazionale, dell’Italia come di altri Paesi”. “Il rischio, ben chiaro agli americani come agli europei, è che parte delle centinaia di miliardi di euro del Recovery vadano a finire in Cina, piuttosto che alle aziende europee”, notava nella stessa occasione il Corriere della Sera.

A livello nazionale c’è quello del Copasir, che nelle sue recenti audizioni ha acceso un riflettore sull’utilizzo dei fondi del Pnrr (e sulla vicenda Alpi Aviation). A questo si è aggiunto anche della Guardia di Finanza, sempre più attenta ai movimenti di denaro dall’Est assieme all’intelligence, che nei giorni scorsi ha firmato un protocollo d’intesa con il ministero dell’Economia con l’obiettivo di implementare la reciproca collaborazione e garantire un adeguato presidio di legalità a tutela delle risorse del Pnrr. “L’intesa costituisce un unicum in ambito europeo, prevedendo l’espresso coinvolgimento nel sistema dei controlli di una forza di law enforcement, qual è la Guardia di Finanza, che rappresenta la polizia economico-finanziaria, a competenza generale, del Paese”, si legge in una nota.

La strategia di Zte. Linea morbida col governo e occhi sul Pnrr

Hu Kun, ceo per l’Italia, usa parole concilianti: “Accettiamo tutte le direttive”. Chiede “certezze a lungo termine” perché l’azienda cinese vuole “partecipare in maniera attiva” al Recovery. Ma sui fondi si muove anche la Gdf

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