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La delegazione iraniana ha lasciato Palais Coburg – il lussuoso hotel di Vienna dove erano organizzati i talks sul Jcpoa – mentre la delegazione cinese stava tenendo la conferenza stampa. Ragioni di opportunità: il capo negoziatore iraniano, Ali Bagheri Kani, ha voluto approfittare dell’attenzione che i giornalisti dedicavano ai delegati di Pechino per non rilasciare dichiarazioni. Forse era innervosito, anche perché al tavolo la Cina, con la Russia, di solito più morbidi con Teheran dei membri del “5+1”, questa volta hanno tenuto posizioni più rigide.

Il “5+1” è il sistema diplomatico (composto dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu con Germania/Ue) che ha creato l’accordo sul programma nucleare iraniano nel 2015 e che adesso negozia la sua ricomposizione, fatta di due passaggi: ritorno dell’Iran nella conformità e stop alle violazioni; ritorno nell’intesa degli Stati Uniti ed eliminazione delle sanzioni re-imposte dall’amministrazione Trump quando aveva deciso di uscire dall’intesa nel maggio 2018.

Il punto cruciale è la tempistica di questo doppio passaggio: per essere perfetta dovrebbe essere esattamente contemporanea, ma questioni tecniche e di fiducia lo impediscono nei fatti. E la (s)fiducia per ora impedisce sia a Washington che a Teheran di agire per primi. Risultato: gli americani aspettano (di fatto in posizione di forza, perché hanno in mano la gestione delle sanzioni, ma relativa, perché più tempo passa e più gli altri possono arricchire materiale atomico verso la produzione di livello militare); gli iraniani stressano il dossier (credendosi in posizione di forza completa, consapevoli di quei processi di arricchimento, ma forse, come ricordava su queste colonne Annalisa Perteghella dell’ECCO, il rischio di tenuta c’è, perché potrebbero esserci anche un piano-B ben più aggressivo dei tavoli di Vienna).

Ieri gli E3, ossia Francia, Regno Unito, Germania (i tre europei del 5+1 da cui era nata l’idea di un accordo di mediazione con l’Iran anni prima del 2015), hanno diffuso un comunicato duro nei confronti di Teheran. In coordinamento con gli Stati Uniti hanno detto ai negoziatori iraniani a Vienna che le proposte di apertura presentate nei colloqui di questa settimana non erano serie e accettabili. L’Iran vuole tutto e subito; impossibile. Gli iraniani hanno presentato due bozze per due intese: una riguarda l’eliminazione delle sanzioni nei propri confronti, l’altra il loro ritorno nella compliance del Jcpoa. Lo si sapeva già, ma gli europei definiscono la posizione sul primo accordo “massimalista” e non comparata con i passi proposti nel secondo.

Si è tornati indietro rispetto ai progressi fatti a giugno, quando l’uscente amministrazione Rouhani aveva proposto iniziative quasi di pari passo. D’altronde l’ex presidente riformista è stato sostituito da un conservatore, Ebrahim Raisi, che in questo primo incontro sotto il suo controllo intende dare il proprio ritmo ai negoziati. Deve farlo anche perché nel suo paese e nella sua constituency c’è una componente che non accetta il dialogo con l’Occidente; allo stesso tempo il dialogo deve essere portato avanti perché c’è un’altra componente importante che vuole l’abbandono delle visioni ideologiche per posizioni più pragmatiche (è una componente che protesta, in questi giorni per la crisi idrica a Ishafan; è rumorosa; crea subbugli che le autorità del regime sono costrette a reprimere per non sembrare indebolite; ha tutte le ragioni di chiedere un futuro migliore).

“Agli iraniani è stato detto che le loro proposte non sono serie e che devono tornare a Teheran e ottenere ulteriori istruzioni”, ha detto un diplomatico europeo incaricato di informare i giornalisti. Il linguaggio è cambiato, di conseguenza in questi casi cambiano anche i contenuti (cambiando le parole cambia il senso dell’approccio). Ora tutti i delegati stanno tornando nelle proprie capitali per consultazioni con i rispettivi governi e probabilmente si riprenderanno le riunioni la prossima settimana, sempre a Vienna, per un altro round di colloqui con la speranza di incontrare una posizione iraniana più flessibile. “Se i passi avanti compiuti nel corso di sei cicli di intensi negoziati a Vienna non hanno portato agli esiti sperati, la causa è da ricercarsi nelle pretese esagerate e nelle posizioni poco realistiche da parte degli Stati Uniti”, ha scritto il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, in un op-ed uscito venerdì 3 dicembre sul Corriere della Sera.

“I governi dei tre paesi europei presenti nel Jcpoa, pur considerando illegittima e inaccettabile la scelta statunitense, hanno in pratica assecondato le posizioni americane, attraverso il loro silenzio e inazione”, aggiunge Abdollahian, che comunque sottolinea che “la Repubblica islamica dell’Iran assicura la massima serietà e determinazione, e tutta la buona volontà per raggiungere un accordo soddisfacente a Vienna” e si dichiara pronto a partecipare direttamente “ulteriori consultazioni”. “Come in ogni affare, un accordo è un accordo, e romperlo ha delle conseguenze”, ha scritto Bagheri Kani in un altro op-ed sul Financial Times. Queste posizioni non sono nuove, venivano sostenute in forma retorica anche dal governo precedente in ognuno dei sei round di colloqui fatti finora.

Sarà da capire già dai prossimi incontri quanto l’amministrazione Raisi intenderà mantenere la posizione massimalista, con cui tra l’altro chiede un risarcimento per i danni subiti dall’uscita americana dal Jcpoa (richiesta considerata inammissibile). “Quello che abbiamo visto negli ultimi due giorni è che l’Iran in questo momento non sembra essere serio nel fare ciò che è necessario per tornare alla conformità, che è il motivo per cui abbiamo concluso questo round di colloqui a Vienna”, ha detto il segretario di Stato americano, Antony Blinken: “Ci consulteremo molto strettamente e attentamente con tutti i nostri partner […] e vedremo se l’Iran ha interesse a impegnarsi seriamente”.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) mercoledì ha riferito che l’Iran ha iniziato a produrre il 20 per cento di uranio arricchito, utilizzando per la prima volta centrifughe avanzate nell’impianto nucleare di Fordow, che è costruito all’interno di una montagna per resistere ai bombardamenti. Questo aumenterà le scorte di uranio dell’Iran a un ritmo più veloce e continuerà ad accorciare il tempo necessario all’Iran per produrre abbastanza materiale per un’arma nucleare. Rafael Mariano Grossi, direttore dell’agenzia e recentemente tornato da Teheran senza risultati, ha detto ieri in un’intervista a France24 che un accordo con l’Iran “è ancora possibile”. Parlando al Med2021 dell’Ispi ha ricordato che la non proliferazione (degli armamenti, e soprattutto nucleare) in Medio Oriente e nel Golfo è l’unico modo per costruire “un’architettura” di stabilità.

La posizione dell’Iran sul nucleare? È grave ma non seria

Il round di colloqui di Vienna sul Jcpoa che si è tenuta questa settimana non ha portato risultati. L’Iran resta su una posizione massimalista, inaccettabile per gli Usa, ma la non proliferazione resta fondamentale per costruire un’architettura di stabilità, come ha detto Grossi (Iaea) al Med2021

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