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Cinque anni di duro lavoro. Oltre 2.500 persone (operai, artigiani, pompieri, ingegneri e architetti) impegnate nel ricostruire, nel puntellare ciò che era ancora salvabile o sostituire le parti andate perdute. Come è avvenuto per il gallo, simbolo della Francia. È stato completamente ricostruito in forme nuove su progetto dall’architetto Philippe Villeneuve e riposizionato su quella guglia che per 96 metri spicca nel cielo di Parigi. Di rame, ricoperto d’oro, contiene i resti scheletrici di Saint-Denis del III secolo, primo vescovo di Parigi, e di Sainte-Geneviève, patrona della capitale, oltre a un frammento della corona di spine di Gesù Cristo. Quei resti che si erano salvati dal colossale incendio. Il vecchio gallo, o meglio quel che ne è rimasto, sarà invece esposto nel museo delle reliquie di Notre Dame, che sarà inaugurato tra breve. Le differenze nelle forme relative sono evidenti. Ma questa è l’essenza della tradizione francese: coniugare il rispetto verso il passato con la modernità imposta dallo spirito del tempo.

La ricostruzione di Notre Dame ha seguito gli stessi canoni. Chi ricorda la vecchia cattedrale, ha ancora addosso il senso di quel mistero che aleggiava negli angoli bui del sagrato o negli anfratti dei suoi lunghi transetti. Non sarà più così. Il restauro ha introdotto la luce che ne illumina ogni angolo, mettendo in risalto capolavori che la ruggine del tempo aveva coperto. Anche qui il prezzo pagato alla modernità: si dirà. Sarà anche così. Meglio, tuttavia, questo che ricorrere al posticcio. Qualcosa di appropriato per una scena teatrale. Molto meno per un monumento che nei secoli ha subito continue metamorfosi. Pur conservando la sua struttura basica. Al punto da recare in sé i segni delle diverse epoche che dal 1160 – anno in cui è iniziata la sua costruzione – hanno caratterizzato la storia francese e non solo.

L’episodio più antico risale al 1558, quando nella cattedrale furono celebrate le nozze tra Maria Stuarda, regina di Scozia e Francesco di Valois, delfino di Francia. L’anno successivo fu la volta di Elisabetta di Valois e Filippo II di Spagna. Le cosiddette nozze di sangue (così chiamate perché vennero celebrate, sei giorni prima della Notte di San Bartolomeo) tra Enrico III di Navarra, poi Enrico IV di Francia, e Margherita di Valois, furono officiate nel 1572. Poi un lungo intervallo, finché in pieno ottocento vi furono celebrate le nozze tra l’imperatore Napoleone III ed Eugenia de Montijo. Quindi i battesimi del re di Roma Napoleone II, del Conte di Parigi e del principe imperiale Napoleone Eugenio Luigi Bonaparte. A dimostrazione di quanto la cattedrale fosse ormai divenuto il simbolo della vicenda imperiale francese.

Ma non è solo della Francia che si tratta. L’Ile de France, dove sorge la cattedrale, è anche il cuore dell’Occidente. Della sua storia plurale. La magnificenza di Notre Dame altro non è che uno dei simboli più importati del contributo offerto dall’Occidente all’umanità tutta. Un qualcosa che è stato protetto per oltre mille anni, per consegnarlo integro alle nuove generazioni. Nelle altre parti del mondo vi sono luoghi analoghi: sia in Oriente sia in Occidente, ma sono più vestige di un antico passato. Reliquie più che testimonianza vivente di una cura continua verso una tradizione che si rinnova. Una differenza che è giusto ricordare nel momento in cui l’attacco contro l’Occidente sembra essere diventato una caratteristica della nostra epoca. Con quei venti di guerra che hanno ricacciato indietro la diplomazia in un conflitto senza fine. Purtroppo, destinato ad estendersi.

È stata la presenza di tanti capi di Stato e di governo a ricordare tutto ciò. Più di cinquanta i rappresentanti. Tra cui Donald Trump (prima della formale investitura a presidente degli Stati Uniti) seduto alla destra del presidente francese Emmanuel Macron e quello ucraino, Volodymyr Zelensky, accolto dagli applausi. Quindi il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, costretto a disertare la prima della Scala. Ovviamente alla cerimonia era presente Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, accolta a Notre-Dame da Macron e dalla première dame Brigitte Macron. A sorpresa, anche Elon Musk, sempre più intimo di Trump. È stata invece notata l’assenza di papa Francesco. Invitato, “l’uomo venuto da lontano” aveva preferito rispondere con un messaggio inviato all’arcivescovo Laurent Ulrich e letto dal nunzio apostolico Celestino Migliore. Quasi a rimarcare una sua lontananza da quella storia di cui si diceva in precedenza.

Alla fine, mentre nell’aria risuonavano le note dell’organo più grande di Francia, con le sue 800 canne vecchie di tre secoli, la politica è tornata ad essere protagonista. La presenza di tante personalità ha consentito a Meloni di avere incontri sia con Macron sia con Trump. Il quale, a sua volta, aveva visto prima Zelensky per discutere della guerra in quel martoriato Paese, per proporre alla fine “un cessate il fuoco immediato”. Come si legge in un suo social (Truth social). Il successivo incontro con Meloni era stato annunciato ieri sera. Un “incontro privato”, durante il ricevimento organizzato dal presidente Macron, com’era stato precisato. Lo sarà anche stato, ma di certo con un significato politico evidente. La crisi tedesca e quella francese indicano un travaglio profondo che non può che preoccupare chi, il 20 gennaio, diverrà il quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti. Se si guarda all’Europa, l’Italia è uno dei pochi Paesi ad avere le carte in regola. Rivolgersi, quindi, a Meloni diventava una scelta conseguente.

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