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La disciplina golden power originaria ha natura ambivalente. Da un lato, è norma di trasparenza e apertura dei mercati: nasce come strumento di protezione degli investimenti diretti esteri, che la precedente disciplina delle golden shares (che ha sostituito) limitava fortemente, in ragione dei vincoli non giustificati alla libera circolazione e alla libertà di stabilimento; così, la Corte di Giustizia Ue.

Dall’altro lato, il golden power consente la protezione di imprese e settori strategici. Interesse però secondario e subordinato, che deve essere adeguatamente motivato, è soggetto a interpretazione restrittiva, ed è condizionato all’esperimento di una procedura trasparente e veloce: una fast track che porta diretta al Tar Lazio, il quale si esprime con rito abbreviato in via d’urgenza. Insomma, il golden power non è un golden shield azionabile a piacimento.

La pandemia ha temporaneamente modificato prospettive, interessi ed esigenze. Il legislatore ha quindi utilizzato il golden power come principale strumento di ‘protezione’ di asset e beni strategici nazionali, il cui perimetro oggettivo è stato significativamente ampliato (d.l. 23/2020) in funzione ‘anti-scalata’, pendant di un rafforzamento della trasparenza sui mercati, anche finanziari.

Quanto invece al piano soggettivo, il vincolo si è applicato, nell’ultimo anno, anche a investitori esteri europei, non più solo a imprese extra-Ue (con alcuni distinguo). Strumenti questi, tutti legittimi, se applicati in via transitoria e giustificati da ‘motivi imperativi di interesse generale’, come ribadito dalla Commissione Ue (Comunicazioni 13 e 29 marzo 2020). Nella stessa direzione si sono orientati del resto molti altri stati europei (anche Francia, Spagna, Germania) nonché gli Stati Uniti.

Ci avviciniamo ora al momento in cui le proroghe e con esse le misure transitorie scadono e diventa più difficile riproporle: si rischia di trasformarle in misure permanenti e come tali, per molti aspetti contrarie alle norme europee.

È l’ora delle scelte e la bilancia deve tornare a pesare in modo oggettivo da un lato, apertura dei mercati e protezione degli investimenti esteri e dall’altro, tutela degli interessi strategici nazionali, che non sono più prevalenti per sé.

Non mi sembra però occorrano norme ulteriori in sostituzione di quelle, provvisorie, che verranno meno, perché la fase applicativa ha mostrato complessivamente, anche durante la pandemia, un comportamento sobrio delle istituzioni, che hanno limitato gli interventi (esercizio del potere di veto, condizioni comportamentali o strutturali alle operazioni) a quanto davvero necessario.

Non è certo però da escludere – e potremo misurarlo nei prossimi mesi – un effetto deterrente delle norme sinora elevate a barriera. Questo è un aspetto rilevante, che richiederà un monitoraggio costante della prassi e della giurisprudenza, per valutare effettività ed efficacia delle misure.

Ma l’uso del golden power è ormai consolidato: in Italia, opera da quasi dieci anni. La sua natura ambivalente – strumento di apertura dei mercati, protezione degli asset e attivi strategici nazionali – lo rende quindi utile, credo, nella fase attuale di auspicata ripresa, sotto un terzo profilo, ad oggi meno indagato. Il golden power potrebbe infatti essere utilizzato come (ulteriore) parametro di legittimità delle misure che saranno adottate dal governo nei prossimi anni per dare esecuzione concreta al Pnrr nazionale. La ratio è semplice e giustificata: lo Stato applicherebbe a se stesso strumenti e criteri che impone al mercato.

Necessario, quando allo Stato si chiede di entrare in modo decisivo – per quanto in via provvisoria – sul mercato che da solo, oggi, non può farcela. Gli strumenti adottati per attuare il Pnrr saranno infatti in parte partenariati pubblici e privati, e molte delle infrastrutture che saranno costituite o rafforzate e degli asset che saranno creati presentano le caratteristiche di interesse strategico nazionale. La verifica secondo i criteri del golden power sarebbe svolta ex ante e s’inserirebbe nella prassi consolidata della buona legislazione.

Prendiamo un esempio concreto e di attualità: Il cloud per la pubblica amministrazione, i cui bandi saranno pubblicati a breve in Gazzetta Ufficiale. Il dibattito sul tema si concentra, in questi giorni, sul tipo di impostazione che dovrà darsi all’infrastruttura.

Sin dal 2019 (Potere dell’algoritmo e resistenza dei mercati in Italia – La sovranità perduta sui servizi) ho sostenuto la tesi della necessità di un’infrastruttura nazionale per il cloud, che mettesse in sicurezza i dati della PA e – a un secondo, diverso livello di protezione – fosse offerta a tutte le imprese, anche nei settori regolati (mercati finanziari, banche, assicurazioni, energia, comunicazioni ecc…). Si verrebbe a creare un’infrastruttura strategica nazionale il cui valore, sul mercato, non sarebbe di certo inferiore a quello di Snam o Terna. Non vi sarebbero criticità sul piano della concorrenza, poiché l’infrastruttura – al secondo livello – sarebbe aperta a tutti, a condizioni orientate ai costi e non discriminatorie.

Quanto invece al primo livello di protezione (la struttura per la Pa), il riferimento normativo dovrebbe essere quello del golden power. Parametro di legittimità oggettivo, consolidato, che consentirebbe di superare agevolmente le polemiche sollevate di volta in volta in ragione degli interessi del mercato.

Ad esempio, e tornando al caso di questi giorni, applicando il parametro del golden power diventa chiara e di fatto inevitabile l’iniziativa descritta dai ministri Franco e Colao, circa “la creazione del Polo Strategico Nazionale (PSN), che sarà un cloud per la Pubblica amministrazione con dei livelli di sicurezza rinforzati, con una giurisdizione italiana, con una residenza italiana dei dati e con l’accesso alle migliori tecnologie internazionali perché sappiamo che le migliori non sono italiane”.

Ora, le principali imprese del settore sono statunitensi, o comunque operano nel territorio degli Stati Uniti e sono quindi soggette alle norme con efficacia extraterritoriale del “Clarifying Lawful Overseas Use of Data (CLOUD) Act” del 2020, in base al quale a certe condizioni e per comprovate ragioni di sicurezza il governo degli Stati Uniti può accedere ai dati da loro custoditi. Ne consegue che – applicando la disciplina del golden power – ‘l’accesso alle migliori tecnologie’ non può che intendersi come ‘acquisizione delle licenze’. Così è, in Francia. Questo, del resto, sarebbe il limite che il governo, applicando il golden power, imporrebbe a un’operazione analoga tra privati.

Per questa e per altre iniziative strategiche, anche in ambito Pnrr, l’uso del parametro del golden power, oggettivo e consolidato, consentirebbe di evitare polemiche strumentali e proseguire più spediti su un percorso di crescita – che il Pnrr persegue – che presenta già troppi ostacoli.

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