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Tutto pronto per il G20 a Roma. Dai controlli di sicurezza all’agenda diplomatica fino al cerimoniale, non manca niente per dare il via alla riunione dei capi di Stato e governo stranieri ospiti di Mario Draghi. Quasi niente.

L’Italia arriva al primo, grande test internazionale senza una nuova bussola per la politica estera post-pandemia. In questo senso, dice a Formiche.net Angelo Panebianco, professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna e firma del Corriere della Sera, è bene non riporre troppe aspettative nella kermesse romana. “Il prestigio internazionali di Draghi è un grande vantaggio per il Paese. Ma il Paese non cambia dalla notte al giorno”.

Una finestra di opportunità c’è: con la cancelliera tedesca Angela Merkel ormai alla porta e il presidente francese Emmanuel Macron alle prese con una nuova stagione di turbolenze interne, Draghi ha spazio di manovra per reclamare il timone della politica estera europea.

Non è un caso che abbia scelto di puntare sul G20 come biglietto da visita della nuova fase. Il consesso multilaterale, la presenza dell’alleato Joe Biden e di competitor come Russia e Cina, offrono all’Italia una chance per lasciare il timbro sull’agenda. “Ma Draghi è anche premier di un Paese che si porta dietro più di un fardello”, dice Panebianco. “Su tutti, il debito pubblico, che intralcia le ambizioni di qualsiasi Stato ne sia oberato, e un’attitudine della classe politica italiana ad anteporre lo sport alla politica estera”.

L’emergenza sanitaria, le riforme, una maggioranza affollata e scossa dagli strattoni dei partiti hanno facilitato la distrazione. Basta passare in rassegna i grandi dossier della diplomazia europea, dai rapporti con la Cina alla deterrenza russa, dall’ambiente alla difesa integrata, per constatare l’assenza di una road map italiana. Dopotutto, riprende il professore, “questa ambiguità è specchio di un’ambiguità europea”. “Prendiamo Russia e Cina: trattati come “rivali sistemici” dagli Stati Uniti, in Europa un giorno sono competitor, un giorno alleati. L’Europa, in fondo, ha paura a fare una scelta di campo”.

Il caso cinese è eloquente. Negli ultimi due mesi il quadrante dell’Indo-Pacifico e la competizione cinese hanno scalato l’agenda internazionale. Prima con Aukus, il patto militare fra Stati Uniti, Regno Unito e Australia. Poi con l’escalation di tensioni a Taiwan, l’isola che Xi Jinping vuole riportare fra le braccia della Cina continentale, con le buone o le cattive maniere. E il fattore Cina tocca tutti i fronti del G20, dai piani europei per l’energia green alla corsa ai microchip e ai metalli per costruirli.

Per l’Italia di Draghi, la kermesse romana potrebbe essere il palcoscenico ideale per dare una linea, dopo due anni di ambiguità e qualche sbandata ai tempi dei governi Conte. Senonché, dice Panebianco, “l’Italia non ha le idee chiare, perché non le ha chiare neanche l’Europa”. “C’è una grande difficoltà a trattare con i regimi autoritari, Erdogan lo ha dimostrato. Non ha avuto bisogno di cacciare dieci ambasciatori, hanno fatto marcia indietro da soli. Scuse implicite”.

Non sarà allora il G20 a segnare un cambio di passo. Anche perché lo stallo della politica estera europea è unanime. “La Francia non può più pensare di ripercorrere la vecchia idea di un’Europa a egemonia francese coltivata da De Gaulle. La Germania, sia pure indebolita, ha ancora il potere economico per bloccare le velleità francesi e italiane”.

Meglio accontentarsi di un’ordinaria amministrazione, chiosa la firma del Corriere. Evitando di giocare a “un gioco pericoloso”. “Quella tentazione tipicamente italiana di voler fare da pontieri tra un blocco e l’altro. Lo facciamo con chiunque: proporsi come mediatori è un modo per evitare che i conflitti esterni esasperino quelli interni. Raramente funziona”.

Russia, Cina e diritti. Panebianco legge il G20 di Draghi

Il tempismo gioca a favore: con l’uscita di scena di Merkel e Macron distratto dai guai interni, Draghi può fare del G20 il biglietto da visita di una leadership europea. Ma l’Italia, come l’Europa, non ha una bussola per fare i conti con Russia e Cina. Parla Angelo Panebianco, professore di Scienza politica all’Università di Bologna

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