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C’è un punto essenziale nella nobile lettera ai milanesi con cui Gabriele Albertini annuncia la sua indisponibilità a candidarsi che vale la pena sottolineare, un punto tutto politico su cui Matteo Salvini (nato nel 1973) e Giorgia Meloni (nata nel 1977) dovrebbero riflettere.

Un punto che peraltro accomuna la decisione dell’ex sindaco di Milano a quella di Guido Bertolaso (entrambi nati nel 1950), anch’egli non disponibile per la corsa a primo cittadino della capitale. Questo punto è apparentemente “anagrafico” (ecco perché evidenzio le date di nascita nel testo) ma in realtà di ben altra portata, poiché investe l’elemento centrale dell’azione della destra politica italiana in questa fase storica, vale a dire la sua capacità di essere compiutamente classe dirigente, anche in una prospettiva di rinnovamento.

Albertini infatti cita espressamente l’opportunità di scegliere un candidato più giovane (pur garantendo la sua volontà di partecipare con una lista alla campagna elettorale), ricordando persino la sua età al momento della prima elezione (era il 1997 e lui aveva 46 anni). Stesso tema che peraltro anche l’ex Capo della Protezione Civile ha evocato pochi giorni fa, dicendo che Roma merita “forze giovani e motivate”.

Veniamo allora al tema che le parole di Albertini e Bertolaso rendono plasticamente evidente. Il punto non è legato alla forza della loro candidatura, poiché essi sono a tutt’oggi solidi nei consensi e con apprezzabili possibilità di vittoria.
Men che meno è nei loro curriculum, perché Albertini è stato un grande sindaco di Milano e gode tutt’ora di massima stima e popolarità mentre Bertolaso è stato con Giuseppe Zambeletti il più autentico ed efficace interprete di quella funzione di “esercito del soccorso” che proprio lui ha grandemente contribuito a sviluppare negli anni.

Il punto quindi non riguarda loro, bensì la leadership politica della destra italiana ed in particolare i vertici di Lega e Fratelli d’Italia, cioè Salvini e Meloni. Albertini e Bertolaso infatti hanno già alle spalle un lungo periodo di grande responsabilità e sanno molto bene quale fatica occorre per stare dietro a tutto: per questo capiscono che servono forze più fresche.

Ma la destra italiana fatica a costruire un nuovo ed articolato gruppo dirigente e proprio nella scelta dei candidati sindaci delle due più importanti città d’Italia tenta di rifugiarsi nell’”usato sicuro”, scelta forse rassicurante (ma poi smentita dai fatti) ma non certo coraggiosa o lungimirante. Albertini e Bertolaso hanno dato il meglio di sé dentro la lunga stagione dominata dalla figura di Silvio Berlusconi, stagione che però è già alle nostre spalle, fermo restando che speriamo il Cavaliere torni presto a casa più pimpante che mai.

Oggi sono Salvini e Meloni a guidare le danze e loro debbono dimostrarsi capaci di costruire una squadra di governo a tutti i livelli, atteso che da ormai dieci anni consecutivi (con un solo stop di dodici mesi) al “comando” c’è il Pd.
Le prossime elezioni politiche non sono lontane e a destra ci sono voti in quantità sufficiente per poter pensare di vincerle. Ma come insegna l’esperienza dello stesso Berlusconi vincere non basta. Lui ci è riuscito ben tre volte, ma nella maggioranza dei casi (due volte su tre) i suoi governi si sono sbriciolati nell’impatto con il Palazzo, quello con la “P”maiuscola.

Ci pensino e ci pensino presto Salvini e Meloni: devono scommettere sul nuovo in senso vasto e solido, altrimenti i (possibili) successi elettorali finiranno in niente o poco più. Vedi alla voce M5S, rivoluzionari e padroni del mondo (per qualche mese), ma oggi placidamente, pacatamente, responsabilmente al governo con un certo Mario Draghi a Palazzo Chigi.

La lezione di Albertini (e Bertolaso)

Salvini e Meloni devono scommettere sul nuovo in senso vasto e solido, altrimenti i (possibili) successi elettorali finiranno in niente o poco più. Il commento di Roberto Arditti

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