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L’inviato speciale statunitense per la Libia, l’ambasciatore Richard Norland, mercoledì 11 agosto è volato da Tunisi (città da dove opera) al Cairo per incontrare Khalifa Haftar. Per l’uomo forte della Cirenaica, il meeting egiziano è il secondo del genere nel giro di pochi giorni: lunedì 2 agosto aveva ricevuto velocemente il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, che si trovava a Bengasi per incontrare il titolare del consolato locale appena riaperto. Incontro arrivato all’interno di un coast-to-coast libico che aveva visto l’italiano protagonista di riunioni col governo di Abdelhamid Dabaiba e con il presidente del parlamento HoR, Agila Saleh.

Haftar — responsabile dell’ultimo conflitto, durato il tempo della campagna militare con cui voleva conquistare Tripoli rovesciando il precedente governo onusiano — è considerato ancora un attore di rilievo. Controlla una città importante, Bengasi, ed è a capo di una milizia armata e ben organizzata, il cosiddetto Libyan National Army, Lna. Ha inoltre contatti aperti con l’Egitto, con gli Emirati Arabi Uniti e con la Russia, tre paesi che hanno sostenuto le sue iniziative militari, anche l’ultima volta — obliterata dall’intervento in guerra della Turchia al fianco di Tripoli.

Soprattutto Haftar viene incluso nell’attuale processo di stabilizzazione per evitare quanto evocato su queste colonne da Dario Cristiani (Iai/Gmf): “Resto non del tutto convinto della sua non-volontà su un nuovo assalto armato”. Se Haftar dovesse partecipare al voto presidenziale, teoricamente programmato per il 24 dicembre, “difficilmente vincerebbe, ma potrebbe a quel punto non accettare i risultati e aprire a una stagione di nuovi attacchi armati”, aggiungeva Cristiani.

”Come per altri recenti impegni con figure chiave libiche, l’ambasciatore Norland continua a concentrarsi sull’urgenza di sostenere i difficili compromessi necessari per stabilire la base costituzionale e il quadro giuridico necessari ora affinché le elezioni si svolgano il 24 dicembre”, spiega l’ambasciata americana in forma ufficiale. Dopo essere stato in parte marginalizzato dal processo di stabilizzazione seguiti al cessate il fuoco innescato dalla sua sconfitta militare, Haftar viene rivitalizzato?

La sua inclusione nel processo in corso viene considerata necessaria per evitare disordini, e per gli americani è anche un modo per tenere aperto il dialogo con l’alleato dei russi sul campo. In questi giorni è stato pubblicato dalla BBC un ampio reportage che ricostruisce il ruolo dei contractor russi del Wagner Group al fianco di Haftar. Dalle informazioni ritrovate in un tablet Samsung, abbandonato quando gli haftariani si sono ritirati da Tripoli fuggendo, escono le prove sul coinvolgimento della Difesa di Mosca e sui crimini di guerra commessi in Cirenaica. La presenza irregolare di militari russi in Libia, anche con alcuni piccoli team di forze regolari, è una preoccupazione per Washington — che, come ricordato su Formiche.net dall’analista Daniele Ruvinetti (MedOr), gli Usa intendono risolvere attraverso l’aumento del sostegno a un governo regolarmente eletto.

Vai la pena ricordare che anche Haftar è accusato di crimini di guerra, sia da alcuni congressisti americani, che soprattutto da una corte federale della Virginia (che può muoversi per giurisprudenza, visto che il capo miliziano ha anche cittadinanza americana, acquisita mentre viveva proprio in Virginia, probabilmente come informatore della Cia, dopo l’esilio dalla Libia di Gheddafi per demeriti di guerra). Il processo è avviato sulla base di una causa legale avanzata a settembre scorso da due cittadini libici; la difesa del libico è in mano a Jesse Binall, che ha già avuto tra i clienti l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Flynn accusato di aver mentito all’Fbi a proposito dei suoi contatti coi russi (accusa per cui poi è stato condannato), e ora difende Donald Trump e il figlio Donald Jr nell’ambito procedimenti legati ai fatti del 6 gennaio 2021.

Con l’incontro di Norland gli Stati Uniti fanno un nuovo sforzo per offrire a Haftar un ruolo al tavolo negoziale. Sforzo che arriva in un momento cruciale per il paese, in cui il leader dell’Lna avrebbe in parte l’occasione di una riqualificazione effettiva. Tentativi del genere sono in corso da sette anni, ossia da quando Haftar si è lanciato in una operazione freelance contro i gruppi jihadisti e soprattutto contro milizie avversarie in Tripolitania. Haftar di fatto non li ha mai accettati. Nei giorni scorsi è stato lui stesso a fornire uno spaccato del suo pensiero, quando in un comizio pubblico ha dichiarato che “il nostro esercito (Lna, ndr) non risponde a nessuna autorità”.

Lo ha ripetuto due volte, per enfasi, e il messaggio è chiaro, diretto a Dabaiba e al Governo di unità nazionale (Gnu) che guida sotto egida Onu. Tra i vari compiti del Gnu ci sarebbe anche quello di riunificare le forze armate, sciogliendo la galassia di milizie come l’Lna di cui è composto il tessuto politico-sociale-militare libico. Nel giorno del comizio, Haftar ha nominato capo politico della sua milizia Abdullah Al-Thinni, ossia l’ex primo ministro del governo parallelo (e non riconosciuto) della Cirenaica. Una scelta che spiega come l’Lna non sia soltanto una istituzione militare ma abbia ruoli politici ed economici. Decisioni e dichiarazioni che mostrano come il comandante (nominato anni fa dal governo di al Thinni Maresciallo di Campo) non abbia ancora troppo interesse al negoziato. I rischi sono noti, per questo Italia è Stati Uniti scelgono comunque di mantenere vivo il contatto: isolarlo potrebbe portare a un ulteriore inasprimento.

Norland incontra Haftar. Italia e Usa non vogliono perdere contatti con Bengasi

Washington e Roma mantengono attivi i rapporti con Khalifa Haftar perché temono che l’uomo forte della Cirenaica possa isolarsi. L’obiettivo è creare un processo di stabilizzazione inclusivo e ampio, offrendo a Haftar l’occasione per riqualificarsi. Per ora da Bengasi la risposta è fredda

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