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Da un report KPMG del settembre 2010 sulla composizione del portafoglio della Libyan Investment Authority (LIA) – che si può ragionevolmente ritenere ad oggi quasi inalterata visto che le sanzioni furono introdotte nel marzo 2011 – emergono alcune indicazioni interessanti. Con riferimento in particolare alla componente azionaria, strategica e non strategica, l’asset allocation di Lia si discosta dal benchmark di mercato (indice MSCI) sia per quanto riguarda i settori (balzano agli occhi, ad esempio, la sovraesposizione nell’energia e la sottoesposizione all’information technology) sia per quanto riguarda i Paesi di destinazione degli investimenti.

Italia, Germania e Russia per esempio raccolgono circa tra le 5 e le 30 volte le risorse che normalmente il mercato riserva loro mentre gli Usa meno della metà. Altri Paesi europei come Francia e Regno Unito sono più o meno allineati con il benchmark. Nella porzione strategica, occupata per quasi il 55 per cento dalla sola Italia, lo squilibrio è ancora maggiore.

Tenendo presente che i pesi sono valutati in base ai valori di allora, appare comunque chiaro come la distribuzione degli investimenti sia stata il frutto di scelte più geostrategiche che di mercato e che, a seguito dello scoppio del conflitto nel 2011, altrettante istanze geostrategiche volte a riequilibrarla abbiano influito notevolmente sulle decisioni dei vari Stati di intervenire nel teatro libico.

Un caso del tutto particolare e di stretta attualità, i cui sviluppi difficilmente pensiamo siano stati compresi dagli investment managers della Lia dell’epoca, è quello del settore telecom & media in Francia. In generale, la Lia ha sempre tenuto il settore in buona considerazione: si pensi all’intervento, qualificato come strategico, nel gruppo britannico Pearson, all’epoca azionista di peso del Financial Times e dell’Economist.

Tuttavia, è in Francia che la tendenza si manifesta in modo più compiuto in quanto – sempre ipotizzando l’invarianza del portafoglio rispetto a quanto rappresentato da KPMG nel 2010 – circa la metà dei titoli transalpini detenuti risultano appartenere a detto settore.

Degna di nota è in particolare la posizione – strategica – in Lagardère (1 per cento circa del portafoglio complessivo), all’epoca assunta probabilmente avendo riguardo soprattutto alla quota detenuta nel gruppo EADS/Airbus, poi ceduta dalla società nel 2013. Lagardère è ora essenzialmente un portafoglio di travel retail e di publishing assets – tra i quali vanno ricordati, oltre ad Hachette, i periodici Paris Match e Journal de Dimanche nonché la radio Europe 1.

Sul riassetto del gruppo francese hanno da qualche tempo scommesso il fondo Amber Capital, che fa capo al gestore di origine armena Joseph Oughourlian, il gruppo LVMH di Bernard Arnault, la Qatar Investment Authority e il gruppo Vivendi. Sono di queste ore i rumors di una possibile pace raggiunta sul piano della governance tra i diversi attori coinvolti assieme all’azionista storico Arnaud Lagardère, ma è indubbio che anche la Lia avrebbe potuto o potrebbe tutt’ora giocare un ruolo nella partita a prescindere dall’entità della quota detenuta.

La Lia possiederebbe una quota (0,7 per cento del portafoglio a valori 2010) anche nel capitale di Vivendi, anch’essa protagonista, come si è visto, nell’affaire Lagardère e a sua volta titolare di un portafoglio cospicuo di media assets, tra cui occorre citare la Pay-tv Canal+, la casa editrice Editis, il portale Dailymotion, l’etichetta musicale Universal e la casa di produzione Studiocanal. Delle interessenze di Vivendi in Italia sono note quelle in Mediaset e TIM, peraltro a loro volta in fase di evoluzione sul piano delle scelte strategiche anche su base europea.

Vivendi sembra manifestare interesse anche nell’altra grande partita in corso in questo momento nel mercato dei media francese, ossia la valorizzazione del broadcaster M6 da parte della controllante Bertelsmann. In lizza paiono esserci, tra gli altri, anche il gruppo Altice che fa riferimento al magnate franco-israeliano Patrick Drahi, ex proprietario e ora sostenitore attraverso una fondazione del quotidiano Libération, che ha da poco chiamato alla direzione Dov Alfon, già editor-in-chief di Haaretz e autore del bestseller “Sarà una lunga notte”.

Infine, è da segnalare la quota detenuta dalla Lia in Orange (ex France Telecom, 0,9 per cento del portafoglio), market leader transalpino sul piano della connettività e attore importante anche nei contenuti (Orange Content).

Come si vede, il settore telecom & media francese, uno dei più grandi in Europa e con profonde implicazioni sia di politica interna che di relazioni intraeuropee, è in grande fermento e la Lia avrebbe tutte le carte in regola per far sentire la propria voce, non fosse altro perché a un fondo sovrano – per definizione paziente nella sua strategia di investimento – si dà sempre ascolto.

È indubbio quindi che, ipotizzando un allentamento delle sanzioni Onu, il fondo sovrano libico avrebbe la flessibilità per gestire in modo coerente il portafoglio T&M France, implementare adeguate strategie di copertura del rischio, diversificare gli strumenti su cui investire (non solo azioni) e, soprattutto, gestire in modo attivo le posizioni sul piano della governance delle società.

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