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Porre fine all’epatite come minaccia per la salute pubblica entro il 2030. È questo l’obiettivo che l’Oms ha rilanciato in occasione della Giornata mondiale contro le epatiti, appena trascorsa. Un traguardo ambizioso, ma ancora lontano. Oggi oltre 300 milioni di persone nel mondo convivono con un’epatite cronica, e ogni anno 1,3 milioni di vite vengono spezzate da complicanze evitabili. In Italia, nonostante i progressi raggiunti su epatite B e C (Hbv e Hcv), resta un preoccupante ritardo sul fronte dell’epatite Delta (Hdv), la forma più grave e aggressiva, che colpisce chi è già affetto da epatite B e accelera drammaticamente l’evoluzione verso cirrosi, carcinoma epatocellulare e trapianto.

UN SOMMERSO SIGNIFICATIVO

Nonostante l’impegno profuso negli ultimi anni per individuare le persone con epatite Delta attiva, il sommerso resta significativo. I dati raccolti dalla Piattaforma italiana per lo studio della terapia delle epatiti virali (Piter) mostrano che solo il 63% dei pazienti positivi agli anticorpi anti-Hdv viene sottoposto al test di conferma Hdv-Rna, un passaggio indispensabile per identificare l’infezione cronica e monitorare la risposta alle terapie. Il virus è associato a una maggiore incidenza di cirrosi (presente nel 71% dei pazienti anti-Hdv positivi) e carcinoma epatocellulare (nel 10,2%). “Secondo l’Osservatorio Polaris – spiega Loreta Kondili, primo ricercatore presso il Centro nazionale per la salute globale dell’Istituto superiore di sanità – il 3.4% dei soggetti HBsAg positivi è infetto da Hdv. I dati del progetto Piter mostrano che nel 60,5% dei casi diagnosticati, l’infezione è attiva e necessità non solo la presa in cura ma anche terapie mirate”.

UN PROBLEMA NEL PROBLEMA

“L’Hdv – ha aggiunto Kondili – colpisce in particolare i giovani migranti non vaccinati contro l’epatite B, e fra questi soprattutto donne (68,6%, di cui il 42,2% ha meno di quarant’anni). Le donne migranti, infatti, sviluppano cirrosi anche prima dei quarant’anni, spesso senza cofattori noti; il che significa che, a differenza di altre epatiti virali, il sesso femminile giovane non è protettivo”. Un problema nel problema, dato che soprattutto per le persone più vulnerabili, l’assenza di percorsi diagnostico-terapeutici chiari e l’applicazione disomogenea del test rendono di fatto estremamente difficile individuare i pazienti in tempo utile per garantire una presa in carico efficace.

FONDAMENTALI SCREENING E PERCORSI EFFICACI

“L’epatite Delta è un virus satellite dell’Hbv, pertanto abbiamo lavorato con il ministero della Salute a un percorso diagnostico-terapeutico proprio sull’epatite B. Mi auguro che questo percorso venga pubblicato rapidamente, in modo che ci sia una guida chiara per tutte le regioni”, ha affermato Ivan Gardini, presidente dell’associazione EpaC onlus. “L’accesso alle cure può esistere solo quando la diagnosi è avvenuta. Il vero problema è lo screening iniziale. Dopo viene il tema dell’indirizzamento, che però può funzionare solo se esistono dei percorsi diagnostico-terapeutici efficaci. Questi percorsi dovrebbero esistere per tutte le malattie del fegato, ma purtroppo al momento li troviamo solo in poche regioni”, ha spiegato.

L’IMPATTO ECONOMICO

Anche l’impatto economico della patologia è significativo. Uno studio condotto nel 2022 dal gruppo di ricerca Eehta dell’Università di Roma Tor Vergata, basato sull’analisi dei ricoveri ospedalieri con diagnosi di epatite cronica delta tra il 2015 e il 2019, ha rilevato un costo medio per ricovero pari a 7.356 euro. Tuttavia, considerando ospedalizzazioni multiple per lo stesso paziente, è stato stimato un costo medio complessivo per ciascun paziente pari a 9mila euro. Una cifra che evidenzia il peso economico della mancata diagnosi precoce e della presa in carico tardiva, e che rafforza la necessità di potenziare l’accesso ai test e garantire un percorso di cura tempestivo e uniforme.

NUOVE TERAPIE E LEA

“È cruciale che i pazienti con epatite B siano sempre testati per Hdv, soprattutto vista la disponibilità di nuove terapie”, ha sottolineato Giacomo Germani, segretario dell’Associazione italiana per lo studio del fegato (Aisf). Un pensiero condiviso anche da Loreta Kondili: “È essenziale rafforzare lo screening dell’Hdv tra i pazienti con epatite B, estendere i test – quali Hdv-Rna e Fibroscan – nei Lea, e garantire accesso equo alla diagnosi, presa in carico e terapia. Il Pdta nazionale per l’Hdv, già redatto con il supporto del ministero della Salute, rappresenta uno strumento essenziale, ma è ancora in attesa di approvazione e pubblicazione”. “Gli ultimi trattamenti disponibili – ha spiegato Germani – hanno mostrato risultati incoraggianti: oltre la metà dei pazienti ha risposto con una significativa riduzione della carica virale e dei marcatori biochimici, mentre i dati preliminari suggeriscono una diminuzione del rischio di scompenso epatico nei pazienti con cirrosi”. Si tratta infatti di una patologia prevenibile, diagnosticabile e trattabile, ma oggi ancora largamente sotto-diagnosticata. “Il percorso di aggiornamento dei nuovi Lea, rilanciato grazie all’entrata in vigore del cosiddetto DM Tariffe, rappresenta un passo importante e atteso, che va nella direzione di una sanità più equa e vicina ai bisogni reali dei cittadini”, ha dichiarato il senatore Giovanni Berrino, membro della commissione Affari sociali e presidente dell’intergruppo Epatiti virali e malattie del fegato.

VERSO UN ACCESSO UNIFORME

Proprio in questi mesi, infatti si attende la definitiva approvazione del nuovo Dpcm Lea in Conferenza Stato-Regioni, per garantire equità nell’accesso alla diagnosi, contrastare il sommerso e dare piena attuazione al nuovo Piano nazionale per Hiv, epatiti virali e Ist. “In questo quadro – aggiunge Berrino – assume particolare rilevanza il tema dell’epatite Delta, una patologia grave e sotto diagnosticata, che richiede maggiore attenzione in termini di identificazione precoce e presa in carico. L’inserimento del test Hdv-Rna con esenzione completa e codice univoco costituisce un passaggio fondamentale per garantire diagnosi tempestive e superare le attuali disomogeneità territoriali”, definendolo “uno strumento semplice ma essenziale per migliorare l’accesso ai percorsi di cura e la qualità dell’assistenza”. “Come intergruppo parlamentare continueremo a sostenere con convinzione questo processo, affinché l’iter possa concludersi nei tempi più rapidi possibili, assicurando su tutto il territorio nazionale un accesso uniforme e appropriato a prestazioni che incidono direttamente sulla salute e sulla vita delle persone”, ha concluso il senatore.

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