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Israele ha colpito duramente l’Iran. Le ondate di attacchi aerei, lanciate nelle prime ore di venerdì 13 giugno, hanno preso di mira le infrastrutture nucleari e militari della Repubblica islamica. L’operazione, denominata “Rising Lion”, ha avuto un impatto importante, colpendo l’impianto di arricchimento dell’uranio di Natanz e altre installazioni strategiche. Colpiti anche alcune figure chiave sia della catene di comando militare (sia laica che teocratica) sia del programma nucleare. Teheran ha risposto con uno sciame di droni inviato contro il territorio israeliano: per buona parte intercettati, potrebbero essere solo la prima fase della vendetta, ma anche Israele ha fatto sapere che i suoi attacchi potrebbero continuare.

Quanto successo rischia di segnare un punto di non ritorno per l’intero Medio Oriente e poi più ampio per l’intero sistema di non proliferazione nucleare. Per Riccardo Alcaro, esperto di Iran, coordinatore delle ricerche e responsabile del programma “Attori globali” dello Iai, “ora le chances che la diplomazia continui sono vicine allo zero”.

Con il negoziato Usa-Iran previsto domenica a Mascate annullato dagli iraniani per ovvie ragioni, ora lo scenario più probabile è quello di una escalation a lungo termine? “Credo che oggi lo scenario più probabile sia quello di un Iran che cominci i lavori preparatori per lasciare il Trattato di non proliferazione, chiuda il Paese agli ispettori Onu e cominci a lavorare su un programma nucleare davvero militare, sapendo che questo porterà continui attacchi da parte israeliana”, risponde l’analista. È una prospettiva estremamente pericolosa, osserva, ma che non può essere esclusa.

Un’alternativa meno probabile, ma che pure andrebbe considerata, è che Teheran decida di rilanciare la via diplomatica, sfruttando l’attacco subito per denunciare il comportamento israeliano: “Israele è uno Stato nucleare che ha colpito uno Stato non nucleare, in assenza di una minaccia concreta, e mentre questo era impegnato in un negoziato con gli Stati Uniti”, fa notare Alcaro, “per questo l’Iran potrebbe mettere a nudo le contraddizioni di Israele e provare a ribaltare il tavolo diplomatico”. Ma lui stesso si dice scettico che questa opzione venga percorsa: “Non mi aspetto che l’Iran scelga questa strada. In termini di non proliferazione, questo attacco ci porta in un mondo più insicuro, dove il regime di non proliferazione diventa molto instabile. L’Iran potrebbe davvero puntare all’arma atomica”.

Il rischio, secondo l’esperto, non è solo nucleare, ma anche politico: “Il colpo alla leadership è durissimo. Israele ha colpito i vertici del regime. Ha ucciso figure centrali legate anche alla Guida suprema Ali Khamenei. È un segnale chiarissimo: Israele non crede alla diplomazia iraniana, o quanto meno vuole neutralizzarla prima che produca risultati”. Alcaro non ha dubbi sulla gravità dell’atto: “È una gravissima violazione del diritto internazionale. L’attacco israeliano contro l’Iran è un’aggressione non provocata. Dubito che ci sia un solo giurista in grado di sostenere la sua legalità. Israele pensa di poter cambiare le regole senza pagarne le conseguenze. Vedremo se avrà avuto ragione o se il risultato sarà una regione più insicura e instabile: io mi aspetto questa seconda ipotesi. Ma resta da capire quanto più insicura, e quanto questa instabilità sarà gestibile o porterà a un collasso più profondo”.

Sul piano tecnico, restano molte incertezze su cosa sia stato effettivamente colpito e con quale intensità. Ludovica Castelli, esperta di non proliferazione e ricercatrice dello Iai, nonché coautrice con Alcaro di uno studio su come il fallimento della diplomazia con l’Iran sarebbe tragico, ricorda che sappiamo da fonti dell’Iaea (l’agenzia onusiana per il nucleare) che è stato colpito sicuramente Natanz, mentre Fordow, almeno ufficialmente, non è stato attaccato.

È un dato rilevante, aggiunge Castelli, considerando che “dopo la censura dell’Agenzia, la TV di Stato iraniana aveva annunciato l’avvio di una nuova fase di arricchimento dell’uranio in una location sicura. Fordow sembrava il target naturale, con tanto di nuove centrifughe di sesta generazione che lì avrebbero rimpiazzato quelle attuali”.

L’attacco sarebbe stato condotto senza il supporto diretto degli Stati Uniti, almeno sul piano logistico e operativo. Questo dettaglio è altrettanto significativo, osserva l’esperta, per quanto riguarda la latitudine del danno, perché “Natanz ha caratteristiche geografiche che rendono difficile infliggergli danni gravi senza particolari capacità militari. Quello che si osserva, almeno dai primi dati disponibili, è che l’attacco potrebbe essere stato pensato per rendere il sito inaccessibile temporaneamente, più che distruggerlo del tutto”. Qualcosa di simile riguarda anche Fordow, che è costruita in un impianto da film all’interno di una montagna — andrebbe colpito con le cosiddette bombe “bunker-baster” statunitensi. Castelli aggiunge anche che “i danni agli impianti nucleari non sono mai davvero a lungo termine. Tutti sanno che le infrastrutture si possono ricostruire. Gli attacchi possono ritardare il programma di sei mesi, un anno, ma non lo fermano”. A maggior ragione se alcuni impianti, come Fordow appunto, non vengono colpiti.

Castelli introduce poi una chiave di lettura fondamentale: “Stante questo ragionamento, sembra che l’obiettivo non fosse solo il nucleare, ma anche inviare un messaggio più ampio. Se ci fosse stato un supporto logistico più rilevante, forse Israele avrebbe puntato a un danno strutturale definitivo. Così com’è, sembra piuttosto un attacco volto a bloccare temporaneamente, forse a disorientare”. Ma il risultato, avverte, potrebbe essere quello opposto: “Israele ha creato un percorso netto per cui ora l’Iran potrebbe riattivare le sue attività nucleari senza che l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica possa intervenire. Gli ispettori non avranno accesso alla fase di ricostruzione, e non ci sarà verifica. È questo l’aspetto più preoccupante: si apre una fase in cui non sapremo cosa succede realmente nei siti iraniani”.

L’attacco di Israele porta l’Iran a spingere sul nucleare. Alcaro e Castelli spiegano perché

Israele ha lanciato l’operazione “Rising Lion” colpendo siti nucleari e militari in Iran, tra cui Natanz, con un impatto strategico rilevante. L’attacco segna il possibile fallimento della diplomazia e un grave rischio per il regime di non proliferazione, e ora l’Iran potrebbe riprendere il programma nucleare senza più controlli internazionali. Il commento degli esperti dello Iai Alcaro e Castelli

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