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Le politiche del governo cinese nei confronti della minoranza uigura nello Xinjiang, regione nord-occidentale del Paese fondamentale snodo della Via della Seta, sono definibili come “genocidio”?

Il tema è stato al centro di un aspro confronto tra i partiti (anche dentro la maggioranza) ieri, mercoledì 7 aprile, in commissione Esteri della Camera dei deputati. La stessa in cui è andata in scena, pochi giorni fa, l’audizione dell’ambasciatore cinese a Roma, Li Junhua, che proprio sullo Xinjiang aveva parlato di fake news dell’Occidente per screditare Pechino: “Ciò che si sente dire non per forza è vero. Ci sono menzogne che sono state raccontate sullo Xinjiang”, aveva detto.

Ieri la frattura tra le forze politiche è stata evidente. Da una parte il centrodestra, con le risoluzioni presentate da Paolo Formentini ed Eugenio Zoffili (Lega) e Andrea Delmastro Delle Vedove (Fratelli d’Italia) a sostegno dell’utilizzo del termine “genocidio”. Parola che, come ha sottolineato durante i lavori il leghista Guglielmo Picchi, è stata adottata dai governi di Stati Uniti e Canada e si ritrova in due risoluzioni approvate dai parlamenti canadese e olandese, oltre a essere suggerita anche da un rapporto del dipartimento di Stato americano pubblicato lo scorso 30 marzo.

Dall’altra parte il Partito democratico con il Movimento 5 Stelle e Italia Viva, i cui esponenti Iolanda Di Stasio e Gennaro Migliore si sono accodati alle perplessità della dem Lia Quartapelle. La neo-responsabile Esteri nella segreteria di Enrico Letta ha annunciato l’intenzione di presentare una proposta di risoluzione che prevede la richiesta al settore privato di due diligence dei diritti umani in Cina nella catena di approvvigionamento, con azioni concrete in caso di non conformità agli standard internazionali. La differenza sostanziale rispetto alle proposte di Lega e Fratelli d’Italia sta nell’assenza della parola genocidio, il cui utilizzo sarebbe “improprio” dal punto di vista del diritto internazionale secondo Quartapelle. L’adozione del termine comporterebbe serie conseguenze, tra cui l’attivazione dell’articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, e dunque l’obbligo di un intervento armato, ha spiegato. A suo avviso, dunque, l’introduzione della parola “genocidio” rischia, paradossalmente, di privare la risoluzione della necessaria incisività, riducendola a una mera enunciazione di principio in assenza della determinazione ad assumere le concrete conseguenze.

All’inevitabilità delle conseguenze dell’uso del termine genocidio evocate da Quartapelle, Delmastro Delle Vedove ha replicato sottolineando che il primo effetto dovrebbe essere la rinuncia da parte dell’Italia alla nuova Via della Seta.

Come Quartapelle, anche Migliore ha richiamato l’attenzione sull’ambito giuridico. Di Stasio, invece, ha preannunciato che anche il Movimento 5 Stelle intende presentare una propria proposta di risoluzione sul tema e ha spiegato come, anche a suo avviso, l’uso della parola genocidio in questo caso costituisce una forzatura.

Al dem Piero Fassino, presidente della commissione, non è rimasto che rinviare la discussione auspicando si riesca a convergere su un testo unitario sciogliendo il nodo relativo all’uso del termine genocidio. Il presidente ha sottolineato che l’eventuale rinuncia a tale riferimento potrebbe consentire l’approvazione unanime di una risoluzione, senza impedire a ciascuna forza politica di continuare a sostenere, in altri contesti, l’esistenza di pratiche genocidiarie a danno della minoranza uigura.

Ma oggi le posizioni appaiono distanti, anche tra i partiti al governo. Prende così quota la possibilità che nessuna delle risoluzioni metta d’accordo i partiti.

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In commissione Esteri della Camera la Lega presenta una risoluzione per condannare il “genocidio” degli uiguri. Si unisce Fratelli d’Italia. Pd, M5S e Iv sono contrari all’uso di quel termine. Non resta che rinviare la discussione ma ormai la maggioranza è divisa

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