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Troppo poco, troppo tardi. La Guerra Fredda tech fra Stati Uniti e Cina smuove anche il Deep State americano. Un rapporto del Congresso accusa il Dipartimento del Commercio: negli ultimi tre anni il governo ha “fallito nell’assumersi le sue responsabilità” e permesso alla Cina di fare shopping delle tecnologie critiche statunitensi.

L’atto di accusa arriva dalla “Commissione di revisione economica e di sicurezza Stati Uniti-Cina”, un organo parlamentare bipartisan nato nel 2000 per vigilare sui rapporti commerciali fra Washington DC e Pechino. Nel mirino dei congressmen repubblicani e democratici è finito il Bu reau per l’Industria e la Sicurezza (BIS), l’agenzia del Dipartimento guidato da Gina Raimondo che si occupa della regolamentazione dell’export e della sicurezza dell’equipaggiamento hi-tech.

Nel 2018 il Congresso ha approvato due leggi, il “Foreign Investment Risk Review Modernization Act” (FIRRMA) e l’Export Control Reform Act (ECRA). Obiettivo: stilare una lista di tecnologie “emergenti e fondamentali” per metterle al riparo dalle mire cinesi. Da allora, tuona oggi il Congresso, c’è stato “un ritardo significativo nella definizione della lista e una mancanza di chiarezza sul processo e la metodologia”.

L’inerzia ha impedito al Cfius (Committee on Foreign Investment in the United States), l’agenzia che passa al vaglio tutti gli investimenti diretti esteri bloccando quelli ritenuti un rischio per la sicurezza nazionale (l’equivalente del gruppo di coordinamento golden power in Italia), di “svolgere a pieno i suoi compiti”.

Non capita tutti i giorni che un rapporto del Congresso punti il dito contro un’agenzia federale. È il segnale di una lotta interna agli apparati sulla postura da tenere nei confronti della Cina iniziata con Donald Trump alla Casa Bianca e proseguita con l’arrivo di Biden. Al centro c’è proprio il BIS, l’agenzia che più di tutte Trump ha brandito nella guerra tech contro i colossi cinesi, da Huawei e Zte, per il dominio del mercato del 5G e dell’Intelligenza artificiale.

Sono centinaia le aziende cinesi finite nella “Entity List” del Dipartimento del Commercio negli ultimi quattro anni, ovvero messe al bando dal mercato americano per ragioni di sicurezza. Eppure già con Trump il governo aveva attirato le critiche dei “falchi” anti-cinesi al Congresso, un gruppo di parlamentari trasversale e molto influente in sede legislativa.

Fedele al metodo del “businessman” su cui ha costruito una carriera politica, non di rado Trump minacciava di calare la ghigliottina sulle aziende tech cinesi salvo poi escluderle all’ultimo dalla lista in cambio di qualche concessione commerciale. È successo a Huawei: il decreto presidenziale che doveva escluderla dal mercato statunitense è stato prorogato ogni tre mesi, e tutt’oggi non è ancora entrato in vigore. Una spada di Damocle.

La pazienza dei “falchi” però è finita. Finché il Dipartimento del Commercio non stilerà una lista precisa ed esaustiva delle tecnologie da mettere al riparo, spiega il report della Commissione Usa-Cina, le tecnologie sensibili, dal 5G al Cloud, rimarranno esposte alle mire di aziende legate al Partito comunista cinese (Pcc). Il documento cita Huawei Technologies, già inserita nella “black list” della Commissione Federale delle Comunicazioni (Fcc) insieme a Zte, ma anche HikVision, multinazionale cinese specializzata nei sistemi di sorveglianza e accusata da decine di organizzazioni internazionali per i diritti umani di collaborare con il governo cinese nel controllo degli uiguri rinchiusi nei “campi di rieducazione in Xinjiang”.

Senza una lista completa delle tecnologie da difendere, il Cfius, che lavora con diverse agenzie federali e revisiona ogni anno miliardi di dollari in investimenti esteri, non ha uno strumento per individuare e bloccare con efficacia le acquisizioni o le fusioni rischiose. Senza contare l’effetto collaterale: “L’incertezza regolamentare potrebbe portare a un calo degli investimenti in ampie categorie di tecnologie a causa dell’assenza di chiarezza”.

Al centro del braccio di ferro politico c’è lo scontro fra lobby opposte. Una nuova stretta dell’amministrazione Biden sull’export cinese metterebbe infatti su un piede di guerra alcune potenti associazioni di categoria che con la Cina fanno affari d’oro, come la Semiconductor Industry Association, la corporazione che riunisce i produttori di microchip.

La messa in sicurezza delle catene di fornitura resta in cima all’agenda della Casa Bianca. Nei prossimi giorni è attesa la risposta delle agenzie federali alla richiesta di Biden, lo scorso febbraio, di una revisione completa entro 100 giorni delle supply chain più esposte dalla pandemia del Covid-19, dal settore farmaceutico a quello dell’automotive. Un segnale di distensione verso l’ala “oltranzista” del Congresso è arrivato intanto questo martedì. Il governo ha annunciato l’istituzione di una “task force” per combattere le pratiche commerciali scorrette diretta dalla Rappresentante al Commercio Katherine Thai.

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