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Si sono espressi nelle ultime ore papa Francesco, il primo ministro Benjamin Netanyahu e quello incaricato Yair Lapid, le Nazioni Unite, gli Stati Uniti, l’Unione europea, la Russia, l’Egitto, la Tunisia, l’Arabia Saudita e anche gli Emirati Arabi Uniti (firmatari, questi ultimi, dagli Accordi di Abramo). La questione sarà al centro della riunione della Lega araba di martedì. Gli scontri a Gerusalemme tra palestinesi e forze di sicurezza israeliane in corso da ieri (almeno 300 palestinesi e 20 ufficiali israeliani feriti) hanno scatenato le reazioni da più parte del mondo. Inoltre, un razzo è stato lanciato da Gaza nel Sud di Israele, la cui aviazione ha risposto colpendo una postazione militare di Hamas nella Striscia.

Le proteste nascono dall’attesa per l’udienza di domani che avrebbe potuto determinare lo sfratto di quattro famiglie palestinesi a Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme. Udienza che oggi è stata annullata dalla Corte suprema israeliana. Come spiega il Times of Israel, la decisione di annullamento arriva dopo che l’ufficio del procuratore generale Avichai Mandelblit ha chiesto alla Corte suprema due settimane per esaminare la questione. Il tribunale ha concesso a Mandelblit tempo fino all’8 giugno per farlo. Di conseguenza, gli sfratti previsti – già approvati dai tribunali inferiori – non andranno avanti nel frattempo.

Il provvedimento riguarda oltre 70 palestinesi che vivono nel quartiere di Sheikh Jarrah e potrebbero essere costretti a lasciare le loro case a ebrei israeliani “di destra”, spiega il quotidiano israeliano. I palestinesi vivono in case costruite su terreni che, secondo i giudici, appartenevano ad associazioni religiose ebraiche prima dell’istituzione di Israele nel 1948. Le famiglie palestinesi avevano fatto appello contro la decisione alla Corte suprema di Israele, che aveva previsto l’udienza per domani, giorno in cui si commemora la Giornata di Gerusalemme, ovvero la presa del controllo della città da parte degli israeliani nel 1967. I palestinesi sostengono che una legge israeliana del 1970 – sebbene non sia discriminatoria in apparenza – in pratica consente solo agli ebrei di reclamare la proprietà persa a Gerusalemme Est.

Per circa 30 anni, i palestinesi che vivono a Sheikh Jarrah hanno affrontato il rischio di sfratto vivendo su un terreno acquistato dagli ebrei alla fine del XIX secolo nelle vicinanze della tomba di Simeone il Giusto, come spiega anche Haaretz. La battaglia legale è in corso tra i residenti palestinesi e una società chiamata Nachalat Shimon, controllata da attivisti di destra che cercano di portare gli ebrei nel quartiere.

La questione dello sfratto dei palestinesi a Sheikh Jarrah ha spinto la comunità internazionale a esprimere preoccupazione. Inoltre, collegata al rinvio delle elezioni palestinesi, ha portato a una nuova ondata di tensione nella città santa negli ultimi giorni.

Si tratta dei primi scontri da quando alla Casa Bianca si è insediato il presidente Joe Biden, la cui amministrazione in queste ore è in contatto con Israele e i palestinesi per riportare la situazione alla tranquillità.

Se Washington guarda con preoccupazione, anche la politica israeliana rischia di subire contraccolpi dopo gli scontri a Gerusalemme. Infatti, i progressi di questo fine settimana per dar vita a un governo con Lapid e Naftali Bennett potrebbero essere vanificati da quanto accaduto al Monte del Tempio visto che hanno rimesso in discussione l’appoggio all’esecutivo di unità nazionale da parte di Mansour Abbas, capo della Ra’am (Lista araba unita). I suoi quattro seggi sono fondamentali per Lapid e la sua formazione Yesh Atid per formare un governo anti Netanyahu con pezzi di destra (i partiti Yamina di Bennett, Nuova speranza di Gideon Sa’ar e Yisrael Beytenu di Avigdor Lieberman), i centristi di Blu e bianco, i laburisti e i socialisti di Meretz. E se dopo Netanyahu, anche Lapid dovesse fallire, potrebbe non restare che un soluzione: il ritorno alle urne per le quinte elezioni in due anni e mezzo

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