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Newport, Galles del Sud. Si gioca anche qui, sulle rive del fiume Usk, la partita europea fra Stati Uniti e Cina per il controllo della tecnologia più richiesta al mondo: i microchip.

Newport Wafer Fab (Nwf), il più grande produttore di chip del Regno Unito, ha appena cambiato proprietà. Alla porta c’è Nexperia, azienda olandese controllata al 100% da Wingtech Technology, una delle principali compagnie cinesi del settore. L’accordo, riporta la Cnbc, ha un valore complessivo di circa 87 milioni di euro e secondo il corrispondente Sam Shead si sarebbe chiuso lunedì pomeriggio.

Dal 1982 Nwf è un vero e proprio fiore all’occhiello inglese nella costruzione dei semiconduttori. L’impianto di Newport al centro del nuovo investimento è stato acquistato nel 2017 dalla tedesca Infineon grazie a una garanzia del governo del Galles e un prestito di HSBC e oggi è uno dei pochi siti a fabbricare wafer in silicio da 200 mm di diametro, utilizzati per lo più nel settore automotive. Un asset strategico per il governo inglese, che infatti ha annunciato di valutare un intervento per fermare l’intesa attraverso i “poteri speciali”.

A chiederlo da mesi c’è un drappello di parlamentari a Westminster capitanato dal presidente della Commissione Esteri Tom Tugendhat. Gli stessi che, un anno fa, hanno rischiato di mettere in minoranza in Parlamento il governo di Boris Johnson durante la discussione della legge che ha messo al bando la cinese Huawei dalla rete core 5G a partire dal 2027.

In una lettera al ministro per gli Affari economici, l’energia e la strategia industriale Kwasi Kwarteng, Tugendhat chiede di bloccare l’acquisto da parte di Nexperia perché “la cessione a un’entità cinese della fabbrica leader nella produzione di tecnologia e semiconduttori in silicio da 200 millimetri rappresenta un’importante preoccupazione per l’economia e la sicurezza nazionale”. Nella missiva il parlamentare dei Tories cita come esempio da seguire l’Italia di Mario Draghi e la scelta, in accordo con il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, di applicare il veto del golden power sull’acquisto dell’azienda specializzata in chip Lpe di Baranzate da parte della cinese Shenzen Investment Holding, un esempio che “mostra che i nostri alleati stanno trattando l’autosufficienza delle catene di fornitura dei semiconduttori come un imperativo della sicurezza nazionale”.

L’acquisto di Nwf regala alla Cina un importante vantaggio nella corsa al mercato dei chip in Europa. Da gennaio a maggio l’ex Celeste Impero, secondo i dati del Bureau nazionale di statistica, ha prodotto 140 miliardi di chip con un aumento del 48.3% rispetto all’anno precedente. Alla base dell’impennata della domanda la scossa subita dalle catene di fornitura asiatiche a causa della pandemia, che ha provocato un aumento vertiginoso della produzione di dispositivi elettronici come smartphone e computer.

In Cina la fornitura di chip e l’accaparramento dei principali siti di produzione, a partire dai key-player del mercato a Taiwan e in Corea del Sud, è diventata una priorità dell’agenda del Partito comunista cinese (Pcc). Non a caso il presidente e segretario Xi Jinping ha affidato la missione a uno dei suoi più stretti collaboratori, il vicepremier e lo “zar” economico del governo Liu He, cui è stata affidata la guida di una apposita task force. Wingtech, il colosso cinese di Shanghai che, tramite Nexperia, vuole mettere le mani sulla fabbrica a Newport, è una vecchia conoscenza del mercato hi-tech. Dai suoi impianti derivano le componenti per smartphone che negli anni hanno fatto la fortuna di alcuni dei principali operatori telco cinesi, da Xiaomi a Huawei, da Lenovo a Meizu.

Come per il 5G, il Regno Unito si trova di nuovo in prima linea nella “Guerra Fredda” tech fra Cina e Stati Uniti. Mentre cresce la polemica per il caso Nwf-Nexperia, un’altra, più grande partita per il controllo dei chip è in corso sul suolo inglese: l’acquisizione da parte di Nvidia, azienda americana leader mondiale nella produzione di schede grafiche, di Arm, il più grande produttore di design di chip del Regno Unito. Annunciato a inizio anno, l’affare è tutto fuorché concluso, complici la reticenza di Downing Street a cedere il gioiello nazionale dei semiconduttori. Nei negoziati è subentrata l’offerta di un altro gigante del mercato americano, Qualcomm. Se Softbank, proprietaria di Arm, decidesse di quotare l’azienda in Borsa invece che venderla, la compagnia californense sarebbe pronta a farsi avanti con una cordata di altre aziende del settore.

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