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Le grandi compagnie di software stanno trattenendo il fiato dallo scorso 24 maggio, ossia quando la giudice Yvonne Gonzalez Rogers si è ritirata per deliberare la sentenza finale del caso Apple contro Epic Games, che dovrebbe arrivare quest’estate. Le sue considerazioni a chiusura del processo non lasciavano presagire un chiaro vincitore, perché la questione è complessa, tentacolare, e la risoluzione di questo processo diventerà un precedente storico per l’evoluzione dell’economia digitale.

Il nocciolo della questione riguarda la definizione di piattaforma e di mercato online (nella fattispecie, l’App Store di Apple), il diritto del gestore (Apple) di percepire una commissione del 30% su ogni transazione che ivi si svolge e il diritto degli sviluppatori (tra cui Epic) di mettere a disposizione dell’utente finale il proprio sistema di pagamento, aggirando quella tassa. Per contestualizzare: nel 2020 sono transitati oltre $70 miliardi sull’App Store, mentre il popolarissimo videogioco-fenomeno Fortnite (disponibile su praticamente qualsiasi dispositivo e interoperabile) ha fruttato a Epic $2,5 miliardi nello stesso anno.

A livello ideologico si scontrano due concezioni profondamente diverse. Apple è famosa per esercitare un controllo ferreo, quasi estremista, sul proprio ecosistema digitale (per motivi di sicurezza e qualità del servizio, asserisce). Per Epic si tratta di un monopolio, perché Apple fornisce e controlla hardware, software e app store, tenendo di fatto in pugno l’intero mercato costituito dai propri utenti. Mentre Epic con Fortnite si colloca dall’altro lato dello spettro ideologico – vuole che le piattaforme si limitino a essere piattaforme e che gli sviluppatori abbiano libero accesso agli utenti.

Agli osservatori non è sfuggito che Microsoft parteggi, non proprio silenziosamente, per Epic. Tanto che la compagnia ha presentato una lettera alla giudice in difesa di Epic e una sua dipendente ha testimoniato nel processo (seppure come privata cittadina), facendo infuriare i legali di Apple, che hanno accusato Microsoft di utilizzare Epic per condurre una battaglia legale per procura.

La storica rivale di Apple è creatrice del sistema operativo più popolare al mondo, Windows, che conta 1,3 miliardi di utenti ed è pensato per essere installato su qualsiasi dispositivo da qualsiasi produttore di hardware. Ideologicamente parlando, è in antitesi al software secondo Apple: massima interoperabilità, meno controllo, totale libertà per sviluppatori e utenti. Una piattaforma in senso proprio.

Ieri, con la presentazione della prossima iterazione di Windows (11), Microsoft ha reso ancora più chiara la direzione in cui si sta muovendo – e ha voluto calcare la mano. “Oggi il mondo ha bisogno di una piattaforma più aperta, che permetta alle app di diventare una piattaforma a sé stante”, ha detto il CEO Satya Nadella durante l’evento, in cui ha dipinto Windows 11 (che sarà un aggiornamento gratuito) come una “piattaforma in cui possono nascere cose che sono più grandi di Windows, come il web”.

Tra le novità cruciali di Windows 11 eccolo, il calcio nei denti ad Apple: Microsoft non chiederà un centesimo agli sviluppatori che utilizzeranno il Microsoft Store assieme alla propria piattaforma di pagamento. “”Se porti il tuo motore di commercio, mantieni il 100% delle tue entrate”, ha chiosato il CFO di Microsoft Panos Panay; “noi non ci prendiamo niente”.

La mossa di Microsoft non è necessariamente dirimente, perché davanti a Gonzalez Rodriguez Apple ha differenziato i suoi computer (su cui gira il sistema aperto macOS) dai suoi dispositivi mobili (con il meno aperto iOS), arrivando a dire che macOS è meno sicuro di iOS. Eppure Microsoft da tempo sta puntando sul far funzionare Windows su qualsiasi tipo di dispositivo, cosa su cui ha posto l’accento presentando il versatile Windows 11.

La posizione di Apple ne esce indubbiamente diminuita prima del verdetto finale della sua battaglia contro Epic, che secondo alcuni potrebbe arrivare davanti alla Corte Suprema statunitense. In gioco c’è lo scontro sul piano digitale tra libertà e controllo (che Apple equipara a qualità), nonché la definizione di cosa delimiti un mercato digitale e quanto esso appartenga a chi lo mantiene. I regolatori americani ed europei, che da tempo lottano per stringere le maglie attorno allo sfuggente potere di Big Tech, hanno le orecchie drizzate.

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