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Mettere fine alla pandemia, rilanciare l’economia in patria e all’estero, rinnovare la democrazia, riformare l’immigrazione, ricostruire alleanze, affrontare il cambiamento climatico, assicurare la leadership degli Stati Uniti nella tecnologia, affrontare la Cina. Sono le otto priorità elencate ieri da Antony Blinken, segretario di Stato statunitense, nel suo primo discorso programmatico da quando è a capo della diplomazia a stelle e strisce. A distanza di poco tempo dall’intervento di Blinken, la Casa Bianca ha diffuso un documento intitolato“Interim National Security Strategic Guidance”, 24 pagine che indicano la rotta della politica estera in attesa dell’aggiornamento della strategia per la sicurezza nazionale atteso nei prossimi mesi.

LA LINEA BIDEN

Meno di 28 minuti di intervento in cui è emersa chiaramente linea dell’amministrazione di Joe Biden: politica interna e politica estera sono legate. “So che a volte la politica estera può sembrano scollegata dalla nostra vita quotidiana. O si tratta di minacce gravi – come pandemie, terrorismo – o sparisce dalla vista”, ha detto puntando anche il dito contro chi ha condotto la diplomazia senza collegarla “ai bisogni e alle aspirazioni del popolo americano”. Oggi, invece, “più che in qualsiasi altro momento della mia carriera le distinzioni tra politica interna ed estera sono semplicemente svanite”, ha continuato. “Il nostro rinnovamento interno e la nostra forza nel mondo sono totalmente intrecciati”.

STOP ALL’AVVENTURISMO

Ed è da queste riflessioni che scaturisce le frasi che hanno conquistato i titolo di diversi giornali internazionali, a partire dal Financial Times. Come difendere e diffondere la democrazia che nel mondo è “sotto attacco”? “Useremo il potere del nostro esempio”, ha spiegato Blinken. “Sosterremo gli altri a fare riforme fondamentali, ribaltare le cattive leggi, combattere la corruzione e porre fine a pratiche ingiuste. Incentiveremo il comportamento democratico”.

Tuttavia, ha continuato, “non promuoveremo la democrazia attraverso costosi interventi militari o tentando di rovesciare regimi autoritari con la forza. Abbiamo provato queste tattiche in passato”, ha proseguito da ex funzionario dell’amministrazione guidata da Barack Obama e da sostenitore di decisioni come l’intervento Nato in Libia o il sostegno all’Arabia Saudita in Yemen. “Per quanto ben intenzionati, non hanno funzionato”, ha continuato. Anzi, “hanno creato una cattiva reputazione alla promozione della democrazia e hanno perso la fiducia del popolo americano. Faremo le cose in modo diverso”, ha promesso.

LA MINACCIA CINESE

La Cina, ha detto Blinken, è il “più grande test geopolitico americano del XXI secolo”. Si tratta, ha aggiunto, dell’“unico Paese con il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico in grado di sfidare seriamente il sistema internazionale stabile e aperto – tutte le regole, i valori e le relazioni che fanno funzionare il mondo come vogliamo”. Il capo della diplomazia di Washington ha cercato di tracciare un solco con la precedente amministrazione facendo appello a una dimensione multilaterale anche nel confronto (anche commerciale) con Pechino. Ma ha utilizzato parole “trumpiane” quando ha difeso i diritti umani a Hong Kong e nello Xinjiang. Lì è in corso, ha detto utilizzando la definizione del predecessore Mike Pompeo, un “genocidio” da parte del governo cinese sugli uiguri. Il che non fa che confermare – come da almeno un anno ormai osserviamo su Formiche.net – l’esistenza di un consenso bipartisan a Washington circa l’urgenza della sfida cinese per gli Stati Uniti.

GLI ALTRI DOSSIER

“Diversi Paesi ci presentano sfide serie, tra cui Russia, Iran, Corea del Nord”, ha detto Blinken. “Ma la sfida posta dalla Cina è diversa”, ha aggiunto. È stata, infatti, la Cina è al centro del suo intervento. Le altre sfide sono rimaste a margine. Per Richard Fontaine, a capo del think tank Cnas, “meglio dare alla Corea del Nord poca attenzione invece che troppa. Competere con la Cina, non trattare con Pyongyang, è la massima priorità in Asia”, ha scritto su Twitter. Quanto all’Iran, invece, sembra aver prevalso la prudenza in una fase cruciale prima di un possibile ritorno ai negoziati ufficiali sull’accordo nucleare. Infine, la Russia: le recenti sanzioni coordinate tra Stati Uniti e Unione europea sul caso di Alexey Navalny sono “il segno concreto dell’impegno del presidente Joe Biden a ricostruire un asse” transatlantico, come ha evidenziato Paul Stronski, senior fellow nel programma Russia ed Eurasia del think tank Carnegie, a Formiche.net. Ma, come spiegato, Biden e Blinken hanno altre priorità.

(Foto: State Dept, Flickr)

Niente più interventi come quello in Libia. La dottrina Blinken

Il segretario di Stato statunitense Blinken ha tenuto il suo primo discorso programmatico. Cina in cima all’agenda. Poi Russia, Iran e Corea del Nord. Una promessa: “Non promuoveremo la democrazia con costosi interventi militari o tentando di rovesciare regimi autoritari con la forza” come accaduto in passato

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