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“Moderato, liberale ed europeista”, il destino dell’M5S è racchiuso in questi tre aggettivi evocati da Luigi Di Maio per tracciare una nuova rotta politica. Tre attributi che un tempo erano l’esemplificazione perfetta di tutto ciò che il Movimento detestava fino al midollo e che oggi invece rappresentano i nuovi punti cardinali dell’universo pentastellato.

Moderato, liberale ed europeista è infatti il presidente francese Emmanuel Macron, acerrimo nemico degli oramai disintegrati gilet jaunes con cui il tandem Di Maio-Di Battista ha intessuto relazioni fraterne in occasione dell’ultima tornata elettorale europea. “Gilet gialli non mollate”, scriveva l’attuale ministro del Esteri in un articolo del gennaio 2019.

Così come moderata, liberale ed europeista è Angela Merkel, paladina di quel rigore economico (ante 2020) che i grillini vedono da sempre come fumo negli occhi. E lo erano anche (pur con tutte le complicazioni del caso) le i governi Letta, Renzi e Gentiloni in opposizione ai quali l’M5S ha costruito buona parte della sua fortuna politica.

La mutazione genetica è dunque più che lampante e in questo modo il Movimento finisce per assomigliare sempre di più ai suoi nemici di sempre: questo l’effetto principale di una stagione al governo che ormai dura da quasi tre anni.

Naturalmente il fenomeno ha provocato una vera e propria crisi di rigetto in una parte dell’elettorato “tradizionale” , come dimostra l’ultima rilevazione Swg: è interessante cioè vedere cosa pensano quelli che ancora si professano “grillini”. Ebbene per essi lo spirito del “vaffa” è oramai soltanto un ricordo sbiadito, oggi la maggioranza è tenacemente governista.

Una quota largamente maggioritaria (63%) è convinta che il Movimento debba mostrare ad ogni costo una robusta vocazione governativa, anche se questo comporta siglare dei compromessi con altre formazioni politiche. Solamente il 23% crede invece che il compito dell’M5S negli anni a venire sia quello di fare opposizione e di accettare incombenze istituzionali esclusivamente in assenza di accordi con la “partitocrazia”.

Tuttavia, se si prendono in considerazione le opinioni degli ex elettori M5S alle Politiche del 2018, le cose cambiano sostanzialmente e le due opzioni per il futuro dei Cinque stelle finiscono per equivalersi (42% la linea di governo, 41% quella barricadiera). Un segno evidente che il profilo del Movimento in questi due anni è mutato radicalmente. Il bagno di realpolitik, rappresentato prima dall’esecutivo gialloverde e poi da quello giallorosso, ha mandato definitivamente al macero il mito della purezza e della superiorità morale rispetto alla “casta”.

La nuova stagione del grillismo richiede però un interprete che ne sia all’altezza. Anche perché l’abolizione della figura del capo politico in favore di un comitato a 5 membri, annunciata dall’Associazione Rousseau di Davide Casaleggio, non sembra convincere i supporter pentastellati.

In cima alla lista delle azioni che, secondo i suoi elettori, l’M5S dovrebbe mettere in campo per rilanciarsi c’è infatti l’individuazione di un leader.

La pensa allo stesso modo il fondatore Beppe Grillo che lo scorso weekend è sceso a Roma per incoronare Giuseppe Conte come nuovo capo politico, nel corso di un vertice tenutosi alla presenza di tutto lo stato maggiore dell’M5S (alla faccia di tutti i discorsi sulle decisioni da prendere sentendo i militanti di base).

La scelta del padre nobile sembra trovare una netta conferma nelle percentuali di gradimento sui vari esponenti del Movimento. A dominare la classifica è proprio l’ex premier (91%), seguito dal ministro Luigi Di Maio (81%) e dal presidente della Camera Roberto Fico (73%). Sono quindi i volti istituzionali quelli maggiormente apprezzati dagli elettori.

Più indietro “l’autoespulso” Alessandro Di Battista (62%) e ultimo (41%) l’eterno reggente Vito Crimi.

Il “nuovo” Movimento si sta dunque forgiando sempre più a immagine e somiglianza di Giuseppe Conte. Quasi come se fosse un partito-persona che trova nel contismo la sua più naturale evoluzione.

Così, se l’M5S si presentasse alle urne guidato dall’avvocato del popolo metterebbe a segno un vero e proprio exploit. Conte leader raccoglierebbe il 22% dei consensi, insediando il primato leghista e risollevando le sorti dei grillini.

A pagarne le spese in maniera più dura sarebbe il Partito Democratico che perderebbe ben 4 punti percentuali. Numeri che assurgono a dimostrazione plastica del fallimento della linea Bettini, quella che vorrebbe l’ex inquilino di Palazzo Chigi guida super partes di un’alleanza giallorossa.

Più che un’alleanza rischia infatti di tramutarsi in un harakiri politico, con Conte pronto a cannibalizzare il centrosinistra e il Pd costretto ad un drastico ridimensionamento.

Conte rifondatore, il M5S decolla e il Pd barcolla. Il barometro di Arditti

Il “nuovo” Movimento si sta forgiando sempre più a immagine e somiglianza di Giuseppe Conte. Così, se l’M5S si presentasse alle urne guidato dall’avvocato del popolo metterebbe a segno un vero e proprio exploit. A danno degli alleati dem. Tutti i dati Swg nell’analisi di Roberto Arditti

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