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Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha discusso i temi delll’imminente Conferenza di sulla Libia che si terrà in Germania (“Berlino-2”, il 23 giugno) con la sua omologa libica, il ministro degli Esteri Najla Al-Mangoush. Nel raccontare la telefonata il portavoce del dipartimento di Stato sottolinea un paio di aspetti su un elemento centrale, che è bene tenere in prima considerazione adesso e per prossimi mesi: il voto (presidenziale e parlamentare) fissato dall’Onu per il 24 dicembre.

“Il segretario e il ministro degli Esteri hanno discusso dell’imminente seconda conferenza di Berlino del 23 giugno sulla Libia e hanno sottolineato l’importanza di garantire che le elezioni nazionali si svolgano nel dicembre 2021”, ha affermato il funzionario di Foggy Bottom, che ha evidenziato come Mangoush sia parte di un governo con un incarico “ad interim”. In effetti il Governo di unità nazionale libico, uscito dal Foro di dialogo e affidato sotto egida onusiana alla guida di Abdelhamid Dabaiba, ha uno scopo: sfruttare il cessate il fuoco e spingere per una stabilizzazione che possa instradare i libici alle urne.

Alla conferenza di Berlino si parlerà dei progressi compiuti finora nella pacificazione della Libia come delle iniziative interne e internazionali prese da Dabaiba, ma saranno i preparativi per le elezioni nazionali del 24 dicembre e ulteriori passi necessari per rafforzare la sicurezza — fondamentale per il voto —  e l’economia della Libia (condizione affinché i cittadini credano ancora nelle istituzioni) a essere al centro della scena.

Altro punto, il ritiro delle forze straniere dalla Libia, tema che recentemente (durante la conferenza al G7) ha affrontato anche il presidente del Consiglio Mario Draghi. Le due questioni non sono separate: le elezioni devono essere celebrate in un contesto di sicurezza garantita, e la presenza di unità militari che non rispondono agli ordini delle autorità libiche ma quello degli attori esterni che hanno sponsorizzato i due lati del conflitto non è una garanzia (anzi).

Da qualche tempo gli attori internazionali quando affrontano il dossier Libia sottolineano la temporaneità del governo corrente (anche usando espedienti narrativi, “fase di transizione”, “autorità temporanea” eccetera) e ricordano con maggiore costanza che il percorso di stabilizzazione arriverà a compimento solo dopo le elezioni. Come ha fatto Foggy Bottom. Il rischio è che alcuni interessi in campo possano spingere per allungare i termini del voto e che questo possa alterare l’attuale fase in corso.

Il parossismo dietro a questo rischio è che la rottura dell’attuale equilibrio porti verso altri conflitti. Una potenziale conseguenza è invece che il governo Dabaiba possa perdere la fiducia — che a quel punto il parlamento potrebbe affidare a qualcun altro, e da qui, di nuovo, rischiare inneschi di altri più complessi effetti. Che Washington è il primo a voler evitare, alla ricerca di un equilibrio regionale nell’area Mena.

Blinken non è stato l’unico americano ad aver parlato con la Libia negli ultimi giorni: mercoledì 16 giugno Ted Deutch, congressista democratico e presidente della sottocommissione Medio Oriente e Nord Africa degli Esteri della Camera, ha avuto una conversazione telefonica con il primo ministro Dabaiba “per discutere (scrive lui su Twitter, ndr) di tenere elezioni libere ed eque in tempo, unificare le istituzioni nazionali, rimuovere i combattenti stranieri, proteggere i migranti e garantire l’accesso umanitario”. Su questo, aggiunge Deutch, “mi impegnerò di chiedere a Potus (il presidente Biden, ndr) di rafforzare la diplomazia statunitense”.

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