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Il sistema bancario fondato in Italia dopo la Seconda guerra mondiale aveva due finalità e due bastioni. Le finalità erano quelle di servire l’industria pubblica e privata da rifondare dopo i disastri del conflitto. I bastioni erano la convergenza di forze liberali e cattoliche che escludevano metodicamente l’opposizione dei comunisti. Questi ultimi, d’altra parte, non erano interessati a entrare nella gestione della finanza capitalista perché sognavano il cambiamento radicale del Paese.

Bastioni e finalità trovavano una sintesi nell’impianto che faceva capo a Mediobanca e alle assicurazioni generali, con il loro “salotto buono” milanese.

Il tutto era sostenuto dalla finanza di Parigi e Londra, riferimenti europei d’oltre Atlantico. C’erano quindi forti basi interne ed esterne e di fatto nessuna opposizione, perché gli oppositori erano appunto esclusi.

Il sistema venne scosso, dopo la fine della guerra fredda, dalle inchieste di Mani pulite, che portarono in tribunale molti manager pubblici e privati. Inoltre, ci fu l’arrivo di Berlusconi che fece emergere una nuova piccola e media impresa fino ad allora marginale.

Quello che sta accadendo da uno, due anni: la scalata di Mediobanca, guidata dall’imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone e appoggiata dal governo di Giorgia Meloni, sembra voglia invece destrutturare l’impianto del dopo guerra e crearne uno nuovo.

Può essere giusto o sbagliato, ma è comprensibile. Un equilibrio finanziario usurato da ottant’anni di spinte contrastanti aveva ragione di essere rimesso in piedi. Quindi la cosa aveva un suo senso.

Solo che, diversamente da 80 anni fa, il nuovo concerto, evidentemente, non era e non è senza oppositori, anzi. Milano, da sempre capitale finanziaria d’Italia, veniva defraudata del suo privilegio, che era spostato a Roma. I francesi, da sempre coprotagonisti della finanza italiana, venivano messi ai margini. Gli americani sembrano essere presenti con l’appoggio della grande banca d’affari JP Morgan, ma non è chiaro quanto davvero Wall Street sia coinvolta nei sussulti peninsulari.

Forse in tempi normali, questa costellazione di poteri e interessi poteva bastare a segnare con certezza un nuovo futuro finanziario del Paese. Solo che nelle ultime settimane il vecchio diavolo giudiziario italico ci ha messo la coda.

I magistrati accusano i tre imprenditori e manager Caltagirone, Francesco Milleri (Luxottica) e Luigi Lovaglio (Monte dei Paschi di Siena) di avere agito in maniera non cristallina. L’accusa arriva sull’onda di ripetuti rilievi dell’Unione europea sull’uso, forse spregiudicato, del “golden power” governativo per ostacolare le mosse di Unicredit.

Quindi non solo non c’è consenso complessivo, ma c’è anche un contrasto con i magistrati, sul cui destino si vota con un referendum fra quattro o cinque mesi. Riassetto bancario e referendum sono vicende separate, ma nella percezione politica paiono confluire in un unico alveo. Qui i magistrati sono impopolari, ma i politici lo sono ancora di più.

In questo prossimo periodo di campagna elettorale intensa, il partito contrario alla riforma promossa dal governo sui magistrati potrà dire di essere in guerra contro una combutta di imprenditori e politici che vogliono mettere le mani sulle banche e prendersi i risparmi degli italiani. Un’ottica ottima per i magistrati, pessima per i loro oppositori. Non è chiaro come finirà.

I referendum sono confermativi, quindi non ci sono quorum. Voterà e deciderà chi è impegnato: quindi chi? Forse stavolta quelli che andranno alle urne saranno a favore dei magistrati e contro i politici con le mani sulle banche.

Il referendum, poi, è particolarmente delicato. Si tratta, di fatto, di una riforma costituzionale. È un garbuglio velenoso. Se il governo vince il referendum esso potrebbe avere un allargamento di poteri nei fatti che potrebbe a sua volta essere pericoloso. Se perde, viene delegittimato non solo sulla magistratura. Il governo dovrebbe fare un passo indietro sulla riforma della magistratura.
Nei Paesi di antica democrazia, in questi casi, gli attori coinvolti si riuniscono e cercano una mediazione. In Italia, il punto di equilibrio istituzionale è il Presidente della Repubblica.

Le ottiche sulla finanza e i giudici. La chiave di lettura di Sisci

Riassetto bancario e referendum sulla giustizia sono vicende separate, ma nella percezione politica paiono confluire in un unico alveo. Qui i magistrati sono impopolari, ma i politici lo sono ancora di più. L’opinione di Francesco Sisci

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