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Considero positivamente, un segno del riconoscimento dell’importanza che ha nel sistema politico e per la democrazia italiana, tutte le critiche rivolte al Partito democratico e anche alla sua leadership. Peraltro, molte di quelle critiche sono tanto sbagliate quanto pretestuose. Solo tenendo sempre presente che il Pd è, nel bene e nel male, l’architrave anche del sistema partitico, è possibile capire le difficoltà in cui si trova Zingaretti e la problematicità delle sue scelte.

Ritengo che le rivendicazioni di maggiore rappresentanza ad opera delle donne del partito dovrebbero essere indirizzate non tanto al segretario quanto agli uomini ai quali quelle donne hanno fatto riferimento per ottenere il seggio parlamentare. Preferirei che chiedessero e ottenessero le cariche desiderate con riferimento alle loro provate capacità evitando di fare credere che il Partito che è secondo solo al Movimento 5 Stelle per numero di donne elette in Parlamento è “maschilista”. Ricordo anche che alcune difficoltà nei rapporti di Zingaretti con quelle donne sono legate al fatto che le elette furono prescelte dal precedente segretario, non noto per il suo ecumenismo.

È la leadership di Zingaretti che traballa? Quali colpe gravi gli vengono attribuite? Quella di non alzare i toni? di non essere onnipresente in interviste, talk televisivi, photo opportunities? È la sua linea politica, in particolare, la ricerca di alleanze a sinistra, che deve essere ricalibrata oppure messa in discussione? Sarebbe il presidente della Regione Emilia-Romagna, lui sì, molto visibile, a costituire già l’alternativa di leadership e con quali innovative priorità programmatiche e visioni di alleanze per il futuro? Davvero tutto o quasi sarebbe risolto dalla convocazione di un Congresso anticipato (in una pandemia che non si allenta)? La mia risposta è “no” a tutte le domande.

Il segretario ha fatto funzionare regolarmente tutti gli organismi del partito e non sono emersi dissensi significativi. Una buona politica rispetta i tempi e i modi. Naturalmente, il segretario del Pd, che non mi pare avere inclinazioni populiste né nostalgie “comuniste”, sa di dovere affrontare due sfide importantissime. La prima sfida è quella di orientare alcune politiche del governo Draghi al quale non può bastare il più convinto europeismo (che, forse, dovrebbe essere “predicato” con qualche concessione comunicativa) e neppure il richiamo alle superiore conoscenze dei tecnici. La seconda sfida è quella della costruzione in corso d’opera di una prospettiva di aggregazione dei progressisti. Al proposito, i molto attivi “centristi”, alcuni dei quali responsabili, ma troppo ambiziosi, altri semplicemente irresponsabili, non sembrano dare contributi positivi. Fermo restando che un centro affollato sarebbe un alto ostacolo a qualsiasi competizione bipolare, la proposta centrista di governo mi pare confusa e abborracciata, certamente non, come alcuni di loro vagheggiano, liberalsocialista.

Quello che, nel mio piccolo, desidererei dal Pd e dai suoi dirigenti è una riflessione di stampo europeo sulle idee con le quali delineare e perseguire gli obiettivi di sviluppo e di riduzione delle diseguaglianze. Quando avremo posto sotto controllo la pandemia nulla sarà/tornerà come prima. Chi, quale Pd, prepara il futuro possibile?

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