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Lavoro, lavoro, lavoro. Rigore, rigore, rigore. Sembra un marziano il 22enne Jannik Sinner, fresco trionfatore negli Open d’Australia di tennis, in un’Italia che, da tempo, ha eletto lo svago a propria ideologia ufficiale, interpartitica, condivisa dalla quasi totalità degli strati sociali. L’auspicio è che il marziano Sinner non ripercorra il cammino del “Marziano a Roma” dell’acuminato Ennio Flaiano (1910-1972), nel cui romanzo il protagonista viene sùbito corteggiato e omaggiato e strada facendo sopportato e dimenticato.

Con Sinner probabilmente sarà diverso. Primo, perché lui è un vincente, e gli italiani, sempre per non discostarci dalle fulminanti notazioni flaianesche, risultano sempre i più determinati nell’affollare il carro dei vittoriosi. Secondo, perché Sinner possiede una virtù che è più rara della neve nel deserto africano: non è spigoloso e piace a tutti. Il che, in una nazione che si è divisa sempre in due fazioni, sin dai tempi di Romolo e Remo, è più efficace di una polizza assicurativa onmibus per neutralizzare le conseguenze di uno rovescio.

Già la straordinaria vittoria contro l’ostico e antipatico russo Daniil Medvedev racchiude passato, presente e futuro della nuova stella del tennis mondiale. Partenza in salita, con sofferenza, così come dev’essere stata la fanciullezza del Nostro, che ha abbandonato la casa dei suoi genitori (per sposare la racchetta) quando i suoi coetanei avevano appena cominciato a giocare con le figurine Panini. Presente in crescita, come dev’essere per chi scende a rete a raccogliere i frutti della semina, il premio per le innumerevoli rinunce, il riconoscimento per i quotidiani sacrifìci. Futuro in fiducia, come dev’essere per un predestinato ai trofei, ritenuto tale, adesso, anche dai tirapiedi e dagli scettici di professione.

Si è detto e si dirà ancora che Sinner rimane un italiano anomalo, perché di confine. Si è detto e si dirà che solo per sette chilometri non si è trovato a nascere e risiedere nel Tirolo austriaco. Si è detto e si dirà che lui elabora pensieri da tedesco e tira le palline da serbo (citofonare a Novak Djokovic, please). Resta il fatto che Sinner si sente italiano e ama assai l’Italia, come ha dimostrato in occasione dell’ultima edizione della Coppa Davis, da lui conquistata con l’ardore di un legionario dell’antica Roma. Altro che distacco o indifferenza nei riguardi della maglia azzurra.

E però l’italiano Sinner fa parte di una minoranza del Belpaese. Quella che sgobba e suda per sé e per gli altri. Quella che vede nell’esempio la più alta forma di autorevolezza e il più efficace strumento di proselitismo. Quella che non si lamenta mai, neppure se un Tir dovesse calpestare i suoi piedi. Se solo crescesse il numero dei simil-Sinner presenti nella Penisola, altro che Cina o Germania. Il Pil dello Stivale volerebbe come uno Shuttle nello spazio, con buona pace di gufi e cassandre varie e con sicura invidia da parte dei concorrenti di mezzo mondo.

Fossimo un leader politico, approfondiremmo con fervore il fenomeno Sinner. Cercheremmo, a prescindere dal ruolo da noi ricoperto, di applicare la sua lezione di stile e tenacia anche nelle partite sociali più delicate per l’Italia, quelle che coinvolgono governo e opposizione. Non ricercheremmo il facile applauso attraverso colpi mediatici spettacolari, ma destinati a fuoriuscire dal campo di gioco tra le smorfie degli spettatori. Ma, soprattutto, indicheremmo nella pazienza, nell’autodisciplina e nella serietà le meta-competenze (più preziose delle competenze canoniche) in grado di riportarci ai successi economici del secondo dopo-guerra, quando quelli come Sinner costituivano la maggioranza degli italiani, non una sempre più ridotta minoranza, come avviene nei nostri giorni. Una maggioranza che si era rimboccata le maniche (lacerate dalla guerra) con l’obiettivo di scalare posizioni su posizioni nel ranking della ricchezza planetaria. Una maggioranza che negli anni tipici della Dolce Vita (non solo felliniana) aveva consentito all’Italietta di aggiudicarsi più di uno slam nel campionato tra le monete.

Purtroppo, sappiamo benissimo che immaginare un’Italia sinnerizzata significa sognare a occhi aperti o, nella migliore delle ipotesi, prepararsi alla più cocente delle disillusioni. Gli ultimi due millenni di storia peninsulare sono trascorsi in gran parte nel segno della devozione religiosa. Poi sono subentrate le stagioni della laicità illuministica e della secolarizzazione neopagana. Infine ha preso il sopravvento la fase del disimpegno (dello svago, dicevamo poche righe fa). E in una nazione di disimpegnati non è garantito che la lezione, il modello degli impegnati versione Sinner, possa fare breccia nelle comode certezze dei disimpegnati versione Moltitudine, dei forzati del divertimento, della tipologia umana protagonista della cinematografia vanziniana. Sì, perché l’italiano medio sa applaudire chi è migliore di lui, sa apprezzare meriti e qualità, ma soltanto quando sono in ballo le graduatorie sportive. Lì sì che, sempre l’italiano medio, pretende merito e meritocrazia, premi ai bravi e pernacchie ai mediocri. Non appena, però, ci si trasferisce dalle sedi sportive alle postazioni ordinarie di studio e lavoro, il criterio di giudizio subisce il più inspiegabile tra i testacoda. In questo caso: todos caballeros, tutti promossi, guai ai voti, stop agli scatti di carriera per capacità, uno vale uno e avanti su questa linea.

Ecco, l’italiano medio adora ed esalta i Sinner, così come adorava ed esaltava i Gigi Riva, altro simbolo (Rombo di tuono) di eccellenza sportiva e umana. Ma si guarda bene dall’applicare gli stessi criteri di valutazione e gratificazione nei settori ordinari del vivere civile. Eppure, se non vogliamo rimanere in Europa offrendo il fianco al fuoco dei cosiddetti “Stati frugali” non ci sono molte opzioni tra cui scegliere: bisognerebbe copiare i Sinner e tutti coloro che, pur non essendo così famosi e ricchi, fanno dell’etica del lavoro, della responsabilità e del sacrificio, la loro ragione di vita.

Programma vasto e ambizioso, ci ricorderebbe la buonanima del generale francese dall’aldilà. Come dargli torto? Fino a quando i Sinner rimarranno un’eccezione, sia pure ammirata e idolatrata, ma mai imitata dai più, ci dovremo consolare solo con i trionfi sui rettangoli di tennis. Per il resto, il paradiso può attendere.

 

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